Amo viaggiare e chi mi conosce bene lo sa. Sfortunatamente lo faccio meno di quello che vorrei, ma, si sa, nella vita occorre accontentarsi e sforzarsi di vedere il bicchiere mezzo pieno. Benché il viaggio sia una delle esperienze che più adoro, esso non cessa di crearmi una certa inquietudine prima di ogni partenza. Nelle ore che precedono il volo – tendenzialmente amo muovermi in aereo – mi assale una leggera forma di preoccupazione, ansia e agitazione. So benissimo che non appena metterò il piede fuori casa il tutto svanirà in un attimo: l’ho sperimentato un migliaio di volte! Ma, ahimè, la pratica e l’esperienza non sono sufficienti a calmare la tensione. E così ogni volta siamo da capo, con quelle “rane nella pancia” che accompagnano ogni partenza.
Eppure, benché questa fatica iniziale, non abbandono questa mia passione, che cerco di vivere ogni volta che me ne si offre l’occasione. Una cosa amo in modo particolare di ogni viaggio, anche di quelli che più mi agitano e turbano il mio, talvolta precario, equilibrio: partire significa uscire dalla propria comfort zone, dallo spazio delle nostre comodità, delle nostre abitudini, dei nostri riti quotidiani, talvolta un poco autistici e maniacali.
Viaggiare significa lasciare, anche solo per poco, le nostre sicurezze, le cose a cui ci aggrappiamo, quelle che ci confortano e rassicurano; e ci costringere ad esporci verso l’ignoto, verso l’imprevisto e tutto ciò che sfugge il nostro controllo e la nostra presa.
Ogni viaggio inizia quando leviamo l’àncora e ci affidiamo al fluttuare libero delle onde, al nostro senso di orientamento e alla guida delle stelle. Il punto è che, per quanti mari tu abbia navigato, ogni mare è sempre un nuovo viaggio, imprevedibile, misterioso ed incontrollabile. Certo, conta l’esperienza, l’abilità acquisita e la competenza maturata. Eppure nulla potrà toglierci lo sforzo del primo passo, quello che rompe l’inerzia iniziale, quello che ci separa da ciò che eravamo, quello che ci apre verso il futuro.
Una risposta a "mollare l’ancora"