i calzettoni della nonna

Come è strano… di una persona cara ci vengono in mente, talvolta, piccoli dettagli, particolari della sua vita, episodi marginali, minimi, che però la nostra mente ha fissato nella memoria, come elementi indelebili.  È come se, rivivendo il film della sua vita, ci restasse impresso, non so per quale motivo, un fotogramma, un piccolo frammento, che conserviamo come un dono prezioso.

È così che di mia nonna mi torna alla mente, tra le tantissime cose di cui potrei parlare, la passione per le calze di lana. Le faceva lei, lavorando a maglia la lana avanzata da qualche maglione. Era diventata una sorta di “produzione in serie”: le calze non prendevano forma, primariamente, perché qualcuno ne aveva bisogno; ma così, come una specie di “scorta per il futuro”, un investimento per il domani.  Sì, perché, di fronte alle nostre proteste sul fatto che i cassetti già straripavano di calze, la sua risposta era semplice quanto disorientante: le calze sarebbero servite anche quando lei non ci sarebbe stata più tra noi, e, quindi, rappresentavano una specie di “assicurazione” per il domani.

Se ci penso, trovo singolare questa sua preoccupazione per il futuro: il suo pensiero era forse il suo modo per prendersi cura di noi attraverso il tempo, anticipando nell’oggi quanto sapeva di non poter più dare domani. Penso sia tipico degli anziani questa “strana” capacità di preparare un futuro che essi non potranno abitare. Questa cura per il domani non era mossa da una preoccupazione o da un’angoscia… tutt’altro… era un modo sereno e fiducioso di preparare l’avvenire, sapendo che, molto probabilmente, lei non ne avrebbe fatto parte.

Questi calzettoni di lana nascevano dalle sue mani come pezzi unici. Anzitutto perché non esisteva alcun modello da riprodurre, ma ogni pezzo era creato sul momento, senza un disegno preventivo; in secondo luogo l’unicità era dettata dalla singolarità del colore: dovendo riutilizzare la lana rimasta da precedenti lavorazioni, non era garantito che le calze fossero tutte dello stesso colore. Capitava frequentemente che la caviglia fosse di una tonalità rosso, la suola di una tonalità diversa e la pianta del piede di un’altra ancora. Sicché ti trovavi spesso ad indossare delle calze “arlecchino” di singolare e stravagante fattura. Poi capitava che una calza si bucasse. Ecco che veniva sottoposta ad una precisa, quanto particolare, forma di rammendo: l’intera parte danneggiata veniva rimossa e sostituita con una nuova, il cui colore, ovviamente, dipendeva dalla lana disponibile in quel momento. Ecco che non era così strano avere delle belle calze blu, con un calcagno color rosso fuoco, frutto di un suo intervento tardivo.

Ancora oggi conservo alcune paia delle sue calze, che custodisco come un carissimo ricordo. Quando le osservo ripenso a due insegnamenti che mia nonna, forse inconsapevolmente, mi ha lasciato.  Ciò di cui ci prendiamo cura diventa, naturalmente ed inevitabilmente, un pezzo unico, particolare e originale. Le cose che ci passano tra le mani non sono mai pezzi fatti in serie, anche se ne produciamo molteplici esemplari. Le nostre mani hanno la capacità di rendere uniche le cose, di trasformare dei gomitoli di lana in piccoli capolavori. La preziosità di quei manufatti non consiste solo nella perizia e nell’arte che ci abbiamo messo ma forse nel fatto che quella persona ci ha messo il cuore, ha realizzato quella cosa come un dono, l’ha pensato come modo per dire affetto, vicinanza e cura. Questo straordinario potere delle nostre mani vale per i calzettoni ma si applica anche a quei legami che reggono la nostra presa ed il nostro tocco.

Vi è una seconda cosa che i “calzettoni di mia nonna” mi hanno insegnato.  Questi pezzi unici, che abbiamo creato, richiedono manutenzione, ossia una cura fedele nel tempo: non basta averli prodotti tanto tempo fa. Occorre avere la premura e la pazienza di aggiustarli nel tempo, di rammendarli e di curarne i danni procurati dall’usura.

I calzettoni con le punte ed i calcagni di diverso colore mi ricordano che ogni legame unico richiede una fedeltà capace di superare i limiti del tempo e disponibile a riparare quanto l’uso ha purtroppo logorato.

Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Febbraio di LodiVecchioMese


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