C’è un tratto romantico ed idealistico nella nostra aspirazione, che talvolta diviene pretesa, di essere “tutto” per l’altro. Sperimentiamo una sincera dedizione verso l’amato, sia esso il compagno, l’amico o un fratello, che ci spinge a desiderare di rappresentare tutto il suo mondo e la pienezza dei suoi legami. Teneramente ed ingenuamente ci confessiamo vicendevolmente “io sono tutto per te“ e “tu sei tutto per me” e con queste parole vogliamo sigillare non solo l’unicità del nostro legame ma anche la sua esigente esclusività. Quel “tutto” allude al fatto che esso sia sufficiente, bastevole e necessariamente escludente di ogni altro “tutto”.
In altre parole siamo convinti, o ci piace pensare di esserlo, che il nostro amore o la nostra amicizia bastino all’altro e siano in grado di soddisfare la sua fame di affetto e di relazioni. “Non ti serve altro” sembrano dire le nostre intenzioni…ci sono io…il mio amore ti basta ed è in grado di placare il tuo desiderio…
Che delusione quando scopriamo che questo non è vero! Non perché siamo stati manchevoli in qualcosa o non ci siamo impegnati a sufficienza, ma semplicemente perché questa pretesa è irrealistica ed insana. Che ci piaccia o no, nessuno di noi può aspirare ad essere il “tutto” dell’altro. Neanche il più grande degli amori, uno di quelli profondi e veri, assoluti e vitali, sarà mai in grado di “riempire il vuoto” dell’altro, la sua fame esistenziale, il suo desiderio di Vita, di Pienezza e di Futuro.
Il nostro amore così umano e carnale è un amore a tempo, provvisorio, precario, un amore penultimo…può ambire a soddisfare la fame di vita dell’altro come un temporaneo appagamento, come un boccone che placa il buco nello stomaco… forse, a ben vedere, il nostro amore non placa la fame, bensì la alimenta, la rende viva, consapevole, generosa, vitale e feconda. Il nostro amore invoca l’altro e lo fa uscire dalla sua pretesa autosufficienza e, nel desiderio che prova per noi, egli fa esperienza del Desiderio Primo e Radicale, quel desiderio che anima, insaziato, la sua esistenza.
Aveva ragione Lacan: «L’amore è dare ciò che non si ha, e non si può amare se non facendosi non aventi, anche se si ha. L’amore come risposta implica il campo del non-avere. Dare ciò che si ha, è la festa, non è l’amore».