Mi piacerebbe che non sottovalutassimo la recente misura del presidente Trump che vorrebbe negare il permesso di soggiorno agli immigrati che dipendono dall’assistenza pubblica. In pratica l’Immigration and Nationality Act stabilisce che chi cerca di entrare negli Usa non dev’essere un carico pubblico. Quindi braccia aperte per gli immigrati provenienti dalla Svezia, dalla Finlandia o dal Principato di Monaco. Coloro invece che provengono da aree meno fortunate, tipo Messico o altri paesi del Sud-America, beh quelli è meglio che se ne stiamo a casa propria. Il permesso di soggiorno potrà essere negato a tutti coloro che sono considerati “public charges”, ossia “a carico della collettività”. Questo include coloro che sono beneficiari di un sostengo per l’acquisto del cibo, di copertura medica pubblica o assegnatari di abitazioni popolari.
È il turbo-capitalismo che prende il sopravvento: in una società dei consumi e della competitività, è bene creare comunità di vita che siano il più possibili affini, non solo per cultura ma anche per reddito.
Badate: non è una invenzione del presidente americano ma è quanto accede di fatto nella realtà dei nostri Paesi. La grande possibilità di scelta e di movimento, che la contemporaneità ci offre, spinge, direi naturalmente, i gruppi umani a coagularsi per omogeneità di censo. D’altra parte perché dovrei accogliere nella mia comunità una persona che potenzialmente potrebbe ricevere meno di quanto può dare? Se lo stare insieme si fonda su relazioni di reciproco interesse e scambio, risulta sconveniente entrare in rapporto con coloro che sono più poveri di noi, dai quali non possiamo attenderci di ottenere alcunché.
Il punto è che questa tendenza “naturale” (anche se eticamente assi discutibile) viene ora sancita per legge. In tal modo lo stato perde la propria funzione di “mitigatore” della spinte individualiste ed egoiste e di fatto diventa il baluardo degli interessi di quella stretta cerchia di ricchi cittadini che si possono permettere una società “full comfort”.
Questo modello di convivenza ha una sua logica interna. Perché mai dovrei pagare per gli altri? Perché dovrei condividere il mio reddito e la mia ricchezza con altri che vengono a sottrarmela e a goderne ingiustamente? Da un certo punto di vista non fa una grinza il ragionamento…
Pongo solo due piccole osservazioni.
La prima di natura etica: siamo sicuri che una società incentrata sulla logica mercantile, in cui il tutto si riduce a qualcuno che dà e qualcuno che riceve, sia in grado di esprimere e promuovere la dignità umana nella sua interezza? Ossia sia capace di favorire lo sviluppo dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo, sia esso povero o ricco, in una reciprocità che ci appartiene come tratto distintivo?
E poi una seconda nota di carattere economico: è in grado di reggere una economia che genera esclusi, che si chiude come una piccola cittadella fortificata? Sta in piedi un mercato che produce zone di altissimo benessere e sacche immense di miseria e povertà? Ha un futuro questo modello di sviluppo? È compatibile, non con l’esigenza etica, ma con le variabili economiche?
La storia, nel suo corso, ci ha già proposto modelli sociali analoghi: basta guardare al Sud-Africa di qualche decennio fa…Diciamo che gli esiti non sono incoraggianti…