Prima capitò a Renzi, poi fu la volta di Di Maio ed ora pare toccare anche al “capitano” Salvini: alla rapida ed strepitosa salita al potere, è seguita l’altrettanta repentina caduta in disgrazia. Tanto è veloce l’ascesa del consenso e del prestigio, tanto si mostra vertiginosa la strada della discesa. Tutti parevano imbattibili all’apice del successo, forti e determinati, arditi al limite della prepotenza. Eppure è bastato un rapido cambio dello scenario politico che la fortuna si è mostrata assai meno promettente e certa. Ecco che, ultimo in lista, anche il capitano, circondato da un’aurea di fascino ed invincibilità, è costretto a fare i conti con i primi malesseri che, qua e là, iniziano ad affiorare nel suo schieramento.
È davvero strana questa politica: brucia i propri protagonisti nell’arco di pochi mesi. Lancia nel firmamento della celebrità le proprie stelle, sapendo bene che il loro corso sarà probabilmente assai breve e che la loro corsa terminerà alla prima intemperia. Se qualche decennio fa abbiamo assistito a carriere politiche durate anni, talvolta decenni, veri e propri “regni personali” sui partiti ed istituzioni, ora le cose si fanno assai più volatili e mutevoli. Nascono leadership che non reggono il peso di una stagione politica, leadership talmente deboli che si afflosciano alla prima calura e che si sbriciolano alla prima difficoltà.
La cosa preoccupante è che, insensibili a questa fugacità politica, il circo del potere è già alla ricerca del prossimo astro da lanciare, ben consapevole che anche la sua traiettoria non lo porterà molto lontano. È un meccanismo perverso che “trita” tutto quello che entra nei propri ingranaggi, incurante delle attese e delle aspettative che aveva generato.
È l’ennesima testimonianza, questo almeno a me pare, della crisi della nostra prospettiva storica, della percezione del corso progressivo degli eventi e del senso che è capace di legarli. Viviamo talmente concentrati sull’attimo presente che diviene assai difficile pensare e pianificare il futuro. Non dico il futuro tra vent’anni ma anche quello che va oltre l’anno. E così, in questo eterno presente, tutto brucia come quelle balle di fieno che vediamo nelle nostre campagne: un gran fuoco inziale, fiamme alte e vigorose, un chiarore che illumina tutto, tanto caldo e fumo, ma poi, nel giro di poche ore, non restano che poche ceneri fumanti. Così è anche la nostra politica. Pare che, dopo aver perso il fascino per la costruzione delle cattedrali, ci accontentiamo di qualche baracca di fiume, insicura e malsana.
Come uscirne? Ricette facili non ne esistono, penso… C’è però una strategia, forse non dagli effetti immediati ma di certo utile a lungo termine. Quella di costruire comunità politiche. Occorre uscire dalla referenzialità del singolo per generare comunità capaci di condividere valori e prospettive, direzioni e passo, comunità che sappiano reggere il peso degli eventi, il logoramento dell’immagine e la sovraesposizione dello volto. Forse serve uscire dalla logica del “one-man-show” per accedere ad una dimensione più plurale e partecipativa della politica, meno leaderistica e più comunitaria.
Penso che, come spesso accade nella vita, ne usciremo solo “insieme”, sostituendo ad ambizioni e velleità individuali e un po’ narcisistiche, il senso di una comunità plurale, partecipata ed inclusiva.
Questo il mio editoriale per Il Cittadino del 16 ottobre 2020