Ricorda Ghislain Lafont, in uno dei suoi ultimi libri, che un celebre padre del deserto, Evagrio Pontico, dava questo consiglio: «Se hai una difficoltà con un fratello, invitalo a mangiare». Il pasto insieme come rimedio al litigio: interessante approccio!
Padre Lafont spiega anche il segreto di questa strana “strategia”: l’invito a pranzo è già di per se stesso un riconoscimento dell’altro, un modo per onorare la sua presenza, per rendere omaggio alla sua persona. Non si invita qualcuno che si sente ostile, bensì qualcuno che, seppur distante, è comunque percepito come meritevole di condividere il cibo. Nessuno di noi si siederebbe a cena con un tizio pericoloso o che crea ripulsione: il semplice invito è già un modo implicito di apprezzamento della sua presenza. Inoltre l’invito riguarda un pasto, ossia un momento in cui si dà la vita: all’ospite di offre cibo per restare in vita, per garantirgli sussistenza e salute. Almeno durante il pasto insieme, alle intenzioni belligeranti si sostituiscono gesti di cura e custodia.
Continua padre Lafont, citando Evagrio: se il fratello accetta l’invito, pur in una condizione di attrito, significa che è disponibile a fare un passo avanti, che è pronto a fare la prima tappa nel percorso di riconciliazione. Ecco allora che il contesto del pasto condiviso aiuterà a scambiarsi, oltre al pane e al vino, pure parole e gesti di comprensione, con bonarietà e mansuetudine.
L’esito di questa rappacificazione della tavola è, secondo Lafont, assai prezioso: “Ci si accorgerà forse che non è indispensabile essere d’accordo su tutto e che ci si possono reciprocamente concedere divergenze di valutazione o di condotta, restando comunque in comunione.”
Troppo ricco il nostro pasto per restare una pura attività di nutrizione. Troppo sensato il nostro mangiare per ridurlo ad una naturale assimilazione di sostanze nutritive.