Claudio ha cinquant’anni e come, molti altri di questi tempi, ha perso il suo lavoro. Appartiene a quella lunga lista di “espulsi dal sistema produttivo” a causa della crisi economica.
Dopo anni di fedele impiego, gli è stato comunicato che la sua azienda avrebbe chiuso e che, nel giro di poco, sarebbe stato lasciato a casa. Trent’anni di lavoro alle spalle, tre figli che studiano ed una moglie, che fortunatamente ha un discreto impiego; è così che la sua vita ha subito un repentino cambiamento: il solito tran tran quotidiano spazzato via dal uragano, una vita da reinventarsi, una “inoccupazione forzosa” e dolorosa, che minaccia la sua autostima e la percezione del suo valore. Ha dieci mesi di assegno di disoccupazione, concesso a parziale rimborso di questo trauma esistenziale: qualche soldo, giusto per restare a galla, come un “salvagente a tempo”, in attesa che un nuovo bastimento di passaggio decida di prenderlo a bordo. Trascorrono i dodici mesi e altri ancora ne macina il tempo, sicché quell’esile paracadute termina la sua protezione.
Dopo diverso tempo gli offrono un lavoro in una piccola azienda locale: gli incentivi fiscali, riconosciuti all’assunzione di un disoccupato, giocano a suo favore. Dopo molte incertezze ritrova una sua stabilità, un nuovo impiego, un nuovo ruolo sociale e, con esso, anche quel briciolo di dignità che gli era stata tolta.
Lo incontro dopo mesi e mi racconta che ora è felice: certo, ha dovuto accettare una qualifica inferiore, ma, lavorando vicino a casa, può risparmiare sulle spese del viaggio e su qualche altra spesuccia accessoria; quindi, tutto sommato, la perdita economica è ridotta.
Mi confida una cosa che mi fa riflettere: il nuovo impiego come operaio gli ha rasserenato la vita. Non solo perché ora ha un lavoro stabile ma anche perché di notte adesso dorme sereno, non avendo più quelle preoccupazioni che sono sempre compagnie delle responsabilità. Alla fin dei conti la qualità della sua vita ne ha tratto giovamento: niente pendolarismo, poche preoccupazioni, più tempo da dedicare ai suoi interessi e ai suoi figli.
Non è da augurare a nessuno quello che ha passato, con i lunghi mesi parcheggiato in panchina, senza alcun impegno lavorativo; tuttavia ho l’impressione che Claudio abbia trovato una sua dimensione, uno nuovo stile di vita e che ora abbia potuto riappropriarsi e riassaporare momenti della sua vita che prima non conosceva.