Ma avremo mai il coraggio e l’onestà intellettuale di chiamare le cose con il loro nome? E cioè che sparare contro degli uomini inermi è un delitto efferato e vergognoso e che le motivazioni e l’odio raziale sono delle aggravanti vomitevoli ed esecrabili? E che non esiste giustificazione alcuna, nessuna attenuante morale che possa anche lontanamente addocilire o smussare quello che accaduto? E che le sole scusanti accettabili sono ragioni di ordine psichiatrico?
E sapremo ammetter che insinuare, anche velatamente, dei “ma” e dei “però” a commento di quanto è successo è una speculazione indegna e rivoltante, fatta solo per guadagnare qualche voto in più a discapito di quei valori che sono a fondamento del nostro vivere civile?
E perché non proviamo indignazione e ribrezzo per il fatto che quel folle assassino si sia avvolto con bandiera tricolore, che è segno dell’unità di una comunità civile nazionale, conquistata a prezzo di sangue e sacrifici da coloro che, prima di noi, non hanno esitato a dare la vita per quei valori che oggi balbettiamo pavidamente?
Avremo mai il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, al di là di biechi interessi di bottega, di nefande convenienze e di turpi opportunismi?
“Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37)