Racconta Recalcalti, in uno dei suoi libri, che tempo fa le ferrovie giapponesi dovettero affrontare un problema drammatico: era in continua crescita il fenomeno dei suicidi ferroviari. Sempre più persone, prevalentemente uomini over 50 esclusi dei processi produttivi, si lanciavano sotto i treni mentre questi entravano in stazione.
Per tentare di arginare il problema vennero installati sui lati dei treni quelli che vennero definiti “specchi-antisuidicio”. L’idea era quella di restituire il riflesso della propria immagine a coloro che avevano deciso di “farla finita”, sperando che questo potesse dissuadere le persone a compiere il folle gesto. Gli psicologi giapponesi speravano che riattivando un poco di narcisismo nella mente degli aspiranti suicidi, questo avrebbe potuto compensare la spinta depressiva ed autolesionistica.
La cosa non ebbe particolare successo anche perché si dimostrò piuttosto ingenua, non tanto nella lettura delle cause quanto nella proposta delle soluzione.
L’immagine che ci costruiamo di noi stessi non è banalmente quella che vediamo dentro uno specchio ma quella che ci è restituita dal contesto sociale in cui viviamo. Sono le persone che vivono con noi, quelle che amiamo, quelle a cui affidiamo la nostra compagnia e la nostra collaborazione, sono questi quelli che ci “fanno da specchio” e contribuiscono alla costruzione della nostra identità. Sono le parole ed i gesti di coloro con i quali spendiamo la nostra vita che “riflettono” il senso del nostro valore, quello che contiamo, il peso che ci attribuiamo. Per sopravvivere abbiamo bisogno di incontrare, lungo il nostro cammino, “specchi” virtuosi che ci sappiamo rimandare una immagine positiva e coerente di noi stessi, grazie a i quali possiamo riconoscere ed apprezzare chi siamo e quanto valiamo.
Quante infelicità ci sono attorno a noi perché qualche nostro compagno di viaggio ha sperimentato sempre e solo specchi frantumati, che rimandano lampi di luce in modo frammentario, incorrente ed inefficace…