Mi è capitata tra le mani in questi giorni la gustosissima pagina dei Promessi Sposi del Manzoni che racconta la crisi del pane a Milano, che nei primi anni del ‘600 ha affamato buona parte della popolazione milanese. Il Manzoni cita questo evento in quanto uno dei suoi personaggi, il buon Renzo Tramaglino, ne resta coinvolto al suo arrivo nella capitale lombarda. All’inizio del capitolo XII il lettore è avvertito che la carestia, che si era già affacciata negli anni precedenti di inizio secolo, stava diventando un problema drammatico nell’anno 1628, nel quale è ambientata la storia dei due sposi promessi.
“Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell’ordinario rimanevano incolti e abbandonati da’ contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d’andare ad accattarlo per carità.”
Questa situazione di crisi non si presentò certo improvvisa né ingiustificata in quanto “le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d’un mal cronico”. La prolungata penuria di pane ebbe un effetto increscioso quanto ovvio: l’incremento del suo prezzo. Come succede frequentemente quando di un bene la disponibilità è limitata, il suo valore aumenta in maniera esponenziale.
“Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un’opinione ne’ molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d’averla temuta, predetta; si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza”. Di fronte alla imminente crisi alimentare la giustificazione più semplice ed ovvia fu quella di inventare dei responsabili immaginari, a cui attribuire le cause dell’accaduto: “Gl’incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome d’averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l’abbominio della moltitudine male e ben vestita”. La colpa per l’assenza di pane non era della carestia, della cattiva gestione della terra, della guerra e dello sciupinio che sempre l’accompagna, bensì di coloro che incettavano il grano, dei proprietari terrieri che non vendevano quanto prodotto da campi o dei fornai che non ne cuocevano a sufficienza. Come accade frequentemente, crearsi dei nemici immaginari da combattere assolve dalla fatica di guardare in faccia alla realtà per riconoscerne con crudezza le cause. Nascono così delle fake-news ante-litteram “Si diceva di sicuro dov’erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s’indicava il numero de’ sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell’immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne’ quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano”. Ed ecco che nacque pure il sospetto del complotto, dell’intrigo subdolo da parte di poteri occulti e malevoli, pronti a creare trame e macchinazioni per affamare il popolo. Di fronte a tali mostruose orchestrazioni non restò che appellarsi al potere costituito: “S’imploravan da’ magistrati que’ provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l’abbondanza”. L’illusione fu che bastasse un provvedimento diretto e giusto per risolvere i problemi: una sorta di bacchetta magica che cancellasse la fame per decreto, che mettesse fuori legge il furto e l’illegalità. Ma, come sottolinea ironicamente il Manzoni, le cose non andarono come previsto: “Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d’attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva”
È una brutta bestia il preconcetto complottista: fa chiudere gli occhi sulla realtà e spinge a rifugiarsi in mondi ideali dove si sogna che le cose vadano meglio. “La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de’ rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de’ più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l’uomo secondo il suo cuore”.
Non crediate che queste siano cose di altri tempi, di periodi buoi e avvolti dall’ignoranza! Non è che nel XXI secolo le cose vadano molto diversamente…Basta leggere qualche pagina di giornale sulla recente campagna elettorale per accorgersi che il gruppo di coloro che urlano agli “incettatori di grano” è ancora molto numeroso: gente che è convinta che a questioni complesse e drammatiche si possa rispondere con ricette semplici ed ingenue. Che basti una “grida manzoniana” per sistemare le cose e che un po’ di onestà e intraprendenza facciano dissolvere le questioni. C’è gente che è convinta che ci siano arcane orchestrazioni che minacciano il nostro paese e che, svelate quelle, le cose saranno molto più semplici e lineari. È intrigante questo modo di ragionare perché rende tutto semplice, immediato, a portata di mano. Non servono grandi riflessioni ed analisi (fatte da gente in mala fede e con secondi fini, che vuole solo perdere tempo): le soluzioni sono assai più ovvie ed agevoli. L’immigrazione clandestina? Si risolve con dei rimpatri di massa (senza menzionare i costi relativi al trasporto di 600 mila persone…). I problemi di concorrenza commerciale? Ecco pronti i dazi doganali! (Peccato che la politica commerciale sia di competenza europea e legata ad accordi internazionali). Vincoli di bilancio troppo stretti? Basta “sfondare” il parametro del deficit pubblico sul Pil! (Senza ricordare che ciò avrebbe conseguenze letali sul nostro debito pubblico). Se volete si potrebbe continuare ancora…
Questo per dire che quanto il Manzoni racconta a proposito della crisi del pane nella Milano del Seicento non è poi così avulsa dalla nostra attualità. C’è una pratica tutta italica di prefigurarsi nemici immaginari e una medesima conseguente attitudine a sognare soluzioni semplici a problemi che semplici non sono. Pare qualcosa di connesso ai nostri geni italici, come un riflesso incondizionato che riaffiora nella storia con singolare puntualità.
questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Febbraio di LodiVecchioMese