sol “levante”?

Capita che il confine tra il progresso e la decadenza sia davvero labile: si ha l’impressione di essere lanciati verso un futuro ricco di mirabolanti promesse tecnologiche e poi ci si ritrova in una landa desolata in cui la solitudine, l’abbandono e l’indifferenza la fanno da padroni.

Pare essere un po’ la parabola del Giappone che in pochi decenni è divenuta la terza economia mondiale ma che, nonostante questo successo, sta pagando tutte le contraddizioni e i costi di una crescita tanto esagerata. Oggi il Giappone è classificato dagli economisti come una “bomba demografica a orologeria”: i consumi sono in netto calo e frenano la crescita economica, la quale cosa, a sua volta, scoraggia le famiglie dall’avere dei figli, riducendo ulteriormente i consumi. Il classico circolo vizioso da cui è difficile uscire. A questa situazione si aggiunge una crescita significativa dell’aspettativa di vita. Sicché l’allungamento della vita media e la drammatica scarsità di figli stanno seriamente compromettendo la stabilità sociale ed economica del piccolo ma ricco paese asiatico.

Negli anni Cinquanta il governo nipponico impose una drastica spinta allo sviluppo economico: alle aziende venne chiesto di offrire ai propri dipendenti la sicurezza di un lavoro per tutta la vita, chiedendo solo che i lavoratori li ripagassero con lealtà. Il patto ha funzionato. L’economia del Giappone è ora saldamente al terzo posto tra i paesi più industrializzati, grazie, principalmente, agli sforzi fatti in quegli anni. Ma la situazione è meno rosea di quello che appare. Negli anni Cinquanta i tassi di fertilità si aggiravano intorno a 2,75 bambini per donna. Nel 1960, quando le imprese chiedevano sempre più dipendenti, il tasso di fertilità era già sceso a 2,08. Il Giappone è lentamente sprofondato, anno dopo anno, sotto la soglia critica conosciuta come “fertilità di ricambio“, ovvero il numero minimo di figli indispensabile per assicurarsi il ricambio della popolazione interna. Oggi in Giappone nascono solo 8 bambini ogni mille abitanti e i ritmi stressanti di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori giapponesi non fanno prevedere un repentino cambio di rotta. Giusto per avere una idea, in Africa si viaggia tra i 30 e 40 bambini per 1000 abitanti, USA, Europa ed Australia tra i 10 ed i 15, mentre l’Italia ne ha 9, pericolosamente vicino ai nostri cugini con gli occhi a mandorla.

Gli effetti di questa situazione vengono poi drammatizzati da una cultura del lavoro esasperante, che porta le persone a passare lunghissime ore in ufficio, limitando di fatto gli spazi della vita privata. Se poi consideriamo che per cultura il Giappone non conosce alcuna forma di immigrazione di mano d’opera (come ad esempio avviene in Italia), possiamo comprendere come il fenomeno stia assumendo dei tratti preoccupanti. Negli ultimi sei anni la vendita di pannolini per adulti ha superato quella per pannolini per bambini. L’impoverimento della vita familiare ha ridotto i margini di cura verso le persone anziane che non trovano più figli e nipoti disponibili ad accudirli. Sta divenendo un fenomeno rilevante il caso di anziani che scelgono di commettere un reato per finire in carcere, dove avranno vitto, alloggio e assistenza garantiti: gli anziani rappresentano oggi il 20% di tutti coloro che hanno commesso reati. Molte carceri si stanno trasformando di fatto in case di cura.

C’è poi un fenomeno di cui nessuno vuole parlare ma che sta diventando sempre più difficile da ignorare: il Kodokushi ossia la morte per solitudine. Secondo gli esperti colpisce 30mila persone all’anno. Il fenomeno riguarda le persone anziane che rimangono sole, senza parenti, amici o conoscenti e si lasciano andare piano piano ad un’inedia che alla fine li uccide. Tant’è che nel paese del Sol Levante sono nate ditte specializzate nella pulizia e disinfestazione degli appartamenti a seguito di morte di anziani inquilini. Puliscono e disinfettano le case, raccolgono gli oggetti dei deceduti che, in assenza di famigliari, restano al padrone di casa.

La popolazione anziana è così numerosa da andare al di là delle capacità di cura familiare. Le case di riposo costano troppo e così i vecchi si ritirano nella loro solitudine. Recentemente i burocrati giapponesi hanno ammesso di aver perso le tracce di 250mila persone che sarebbero centenarie. Ha fatto scalpore nel 2010 il caso di Sogen Kato, dichiarato a 111 anni l’uomo più vecchio del Giappone ma che invece era morto da 30 anni senza che nessuno se ne fosse accorto.

È evidente che in Giappone la struttura di famiglia tradizionale stia collassando o forse è già implosa. Si è imposto, nella terra del Sol Levante, un modello di sviluppo economico che non è più compatibile con una società equilibrata e sana.

Il triste caso del Giappone fa riflettere: mostra che una corsa al progresso e alla ricchezza rischia di diventare un istinto suicida se tale spinta non viene mitigata da una visione dell’uomo non solo “schiacciata” sulla dimensione economica. Serve una visione più ricca ed articolata dell’essere uomini, un nuovo “umanesimo integrale”, come ama chiamarlo qualcuno, che si mostri rispettoso e promuovente di quelle dimensioni che sono costitutive della nostra umanità. La famiglia, le relazioni affettive, i legami amicali e di reciproco aiuto non sono solo “fatti personali”, riducibili alla vita privata degli individui, ma godono di un valore sociale inestimabile. La nascita dei bambini così come la cura degli anziani sono un bene comune, un bene che riguarda tutti, tanto che la loro crisi compromette la stessa società civile. Credo che il progresso, se intende essere davvero “umano” e non solo “economico”, debba necessariamente misurarsi con quello che siamo, con i nostri legami, i nostri affetti, le nostre comunità di appartenenza. Senza questo sforzo il rischio è che il PIL voli ma noi, esseri umani, si resti a terra.

Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Aprile di LodiVecchioMese


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