C’è uno strano “personaggio” che frequenta le gare di ginnastica a cui partecipa Miriam. È un ragazzone corpulento, sui 15 anni, presenza imponente e sguardo simpatico.
Diciamo che la sua silhouette non proprio esile si fa notare in mezzo al gruppo dei ginnasti, che notoriamente, hanno un fisico atletico, asciutto e muscolare. Lui è un po’ fuori standard: il costume da gara, attillato ed elastico, mostra chiaramente le sue rotondità, una discreta pancetta e due gambe grassottelle.
Confesso che fa un certo effetto vederlo esibire sul campo di gara: le sue movenze, non proprio aggraziate, strappano sempre un benigno sorriso sul volto degli spettatori.
Viene spontaneo chiedersi: ma perché un ragazzone così non pratica un altro sport, in cui potrebbe avere risultati migliori? Perché proprio la ginnastica che esige grazia, potenza, agilità ed eleganza? Bella domanda…
C’è un però in questa storia (c’è spesso un però nella vita…)
Il “però” nasce quando lo osservi in mezzo al gruppo di atleti della sua squadra. I gesti, le parole ed il comportamento tradiscono molto affetto, amicizia ed una accoglienza incondizionata. C’è una bella familiarità nelle loro relazioni. Capisci che questo ragazzone è “uno di loro”, parte di una famiglia, membro di una squadra, protagonista di un gruppi di amici.
Ora, non conosco la storia di questo ragazzo, il suo passato o il percorso che ha alle spalle. Però ho la netta sensazione che tra quelle persone egli abbia trovato una comunità di affetti, legami positivi e gratificanti. Mi domando che peso possano avere gli sguardi un po’ stupiti ed sorpresi di noi superficiali spettatori rispetto al calore che quel ragazzone sperimenta nel suo gruppi di amici ed atleti.
Temo davvero poca e forse è giusto così.