Essere padri è saper lasciar andare. È maturare quell’arte dolorosa e difficile del congedo, dell’addio, della separazione e dell’allontanamento.
Forse non si diventa mai padri per davvero senza sperimentare sulla propria pelle questo acuto dolore, questo strazio, questa lacerazione, quel sentire che una parte di te, del tuo mondo e dei tuoi affetti se ne sta andando. Egli decide di lasciare casa, “chiede la propria parte di eredità”, sancendo in tal modo la tua “morte simbolica” e l’irrilevanza della tua presenza nella sua vita.
Essere padri è patire impotenti e sgomenti questo trauma. È assistere alla partenza di colui che era stato oggetto della tua cura: lo vedi preparare le valigie, raccogliere le sue cose, ripiegare i suoi vestiti… tutto questo come una fatalità a cui non ti puoi opporre.
La sfida per te, come padre, consiste nel senso che decidi di dare a questo dolore, alla forza che gli permetti di sprigionare nella tua anima. Non nascondiamocelo: provi risentimento, rabbia e frustrazione. Avverti un sentimento di tradimento, come una pugnalata date alle spalle, senza motivo né ragione. L’affetto e l’investimento che avevi fatto reclamano giustizia e riconoscimento e ti accusano di aver perso del tempo, di aver speso inutilmente passioni e cure, giorni e pensieri.
Quel dolore ti sta di fronte come un enigma da sciogliere, come un rebus da risolvere: quell’addio è forse segno del tuo fallimento educativo? Forse testimonia la tua inadeguatezza? Mostra forse che “l’obiettivo è stato mancato”? Racconta di una paternità incompleta?
Oppure quella partenza è per te come un appello ad una Paternità Ulteriore, capace di custodia e cura anche dove tu hai fallito, nonostante tradimenti e disconoscimenti? Non sono queste “partenze dolorose” epifania dell’indole libera e gratuita della Vita, manifestazione della nostra impossibilità ad imbrigliare il suo Spirito vitale, a controllare il suo cammino ed incanalare il suo corso?
Credetemi: non c’è nulla di poetico né di romantico in tutto questo, nessuna facile consolazione né giustificazione.
Ogni addio è sempre uno strappo, un taglio doloroso subito dalla pelle e che lascerà inevitabili cicatrici. Ogni partenza inattesa è come un nuovo inizio, che segna non solo colui che prende il largo ma anche colui che, dalla banchina, osserva, un po’ disorientato, la nave sciogliere gli ormeggi.