Più ci penso e più mi convinco che non possiamo amare “tutti” ma solo “ciascuno”. Ossia il nostro amore per “tutti” passa necessariamente per l’amore dei singoli, per l’affetto che nutriamo per le singole persone, come esseri unici, irripetibili e singolari.
L’amore, quello vero e sincero, quello che ti sbilancia, quello che ti fa perdere l’equilibrio tanto sei esposto verso l’altro, richiede, anzi pretende, un volto, due occhi che ti fissano, uno sguardo che ti parla e una pelle da sfiorare.
Non penso solo all’Amore della vita, per quale questo fatto è più che palese ed evidente. Mi riferisco anche ai tanti “piccoli” amori che popolano la nostra esistenza, quelli “minori” o “secondari”. Ogni amore, di qualunque natura o intensità, esige questa “singolarità”, questa intima “univocità”. Non possiamo provare amicizia per un gruppo, una comitiva, una classe o una comunità; o meglio lo possiamo ma solo perché, e nella misura in cui, questo legame è vivo per ogni persona che compone quel gruppo.
C’è sempre una dinamica di “localizzazione” dell’amore, quel movimento che tende a “individualizzare” l’affetto che proviamo e a concentrarlo su un volto. L’amore infatti tende a sfuggire ogni superficiale “generalizzazione”.
Il bello di questo di questa “specificazione” dell’amore è che ci costringe a calibrare il nostro amore sulla personalità dell’altro, sulla sua sensibilità, sul suo modo originale di percepire le cose. Ecco che il nostro amore è chiamato ad essere originalmente creativo, ossia capace di indossare i panni dell’altro, di parlare la sua lingua o il suo dialetto, di sim-patizzare con il suo mondo interiore.
Scrive don Lorenzo Milani in una sua straordinaria lettera: “Non si può amare tutti gli uomini. Si può amare una classe sola (e questo l’hai capito anche te). Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più.”