Il posto più scomodo e difficile in cui un genitore o un educatore possono stare è quello spazio “di mezzo” che c’è tra ciò che è e ciò che potrebbe essere.
Educare è la possibilità che ci è data di “sognare” una persona, immaginarla cresciuta e maturata e attivarsi perché questi traguardi di crescita possano essere raggiunti. Non c’è educazione senza questa tensione, senza questo fossato da colmale, questo fiume da attraversare. Se non si attiva questo movimento, c’è solo stasi e ristagno. È la dimensione del “sogno” e del “potrebbe essere” che rende possibile ogni percorso di cambiamento. Ogni giovane vive dentro questa spinta alla trasformazione, sollecitato e stimolato a diventare di più e meglio.
Questa frontiera in cui abitano il presente ed il futuro, tra condizione e possibilità, è il campo di azione dell’educatore. Sta a lui creare la giusta tensione, quella dialettica positiva che spinge ad andare avanti, a procedere e a crescere. Una sollecitazione troppo intensa genera frustrazione e demotivazione; una troppo debole lassismo e pigrizia, talvolta regressione.
La fatica dell’educare spesso consiste proprio in questo: nel dover presidiare quello spazio che si estende tra “il già” e il “non-ancora”, spazio spesso indefinito e impreciso, luogo esposto a venti intensi o a ristagni d’aria nauseabonda.
Chi è educatore lo sa bene: si vive male in quella condizione, giacché sei continuamente sollecitato da presunti successi e docce fredde, da traguardi raggiunti e battaglie perse. A volte ti sembra che ci sia progresso e cambiamento, poi ti devi ricredere quando constati che le cose non vanno come ti saresti aspettato. Occorre pazienza, tanta pazienza. O meglio: serve fortezza, una fortezza solida e tenace, per tenere il punto, per non perdersi d’animo, per non desistere e restare fedeli al proprio ruolo.
Abitiamo più volentieri luoghi sicuri e definiti dove l’ordine e la pulizia regnano sovrani. Stare in questi “posti mobili”, sottoposti a continui aggiustamenti, sistemazioni e accomodamento è davvero stancante, spesso addirittura logorante. Stai lì come sospeso, in continua ricerca di una mediazione possibile, dentro un ping-pong che fa girare la testa.