L’immagine: Paolo Caravaggi, detto “il Morello”, Cristo porta la croce al Calvario, 1642, S. Maria Maddalena, Lodi
C’è tanta gente attorno a quell’uomo con la croce, vicino a quel condannato a morte che fatica a portare lo strumento della sua morte fino al vicino luogo della crocifissione.
C’è gente che urla, che suona, che grida, che piange. C’è rumore di zoccoli di cavalli, di bastoni che fendono l’aria, di corde che si stringono attorno al collo… c’è un gran fermento di umanità che accompagna quell’uomo provato ma dal volto deciso e paziente. Pare quasi che tutta Gerusalemme si sia raccolta attorno a quel disgraziato, a quel profeta sconfitto, a quel derelitto che dice di sé cose blasfeme.
Eppure vi è una solitudine radicale che abita questo quadro, come se le voci e le strilla del popolo fosse incapaci di capire quello che sta accadendo, di accedere al Mistero, al Kairos, a quell’attimo potente capace di ribaltare il corso della storia. Quell’uomo è solo, solo in mezzo a tanti, solo perché incompreso, solo perché la gente è tutta presa dall’imminente esecuzione cruenta ma indifferente alla sorta del prigioniero.
È la solitudine della morte, della malattia, dell’isolamento, del dolore che abita anche questi tempi difficili. In quell’uomo solo si condensano le mille solitudini dell’umanità. Nel volto del Figlio, custodito teneramente dalla Veronica, ci sono i volti di tutti i figli che, in solitudine, affrontano la drammatica dell’esistenza.