La giornata di oggi parla di amore o meglio della misura dell’amore, della sua profondità, di quanto oltre sia capace di spingersi, di dove riesca ad arrivare.
Racconta di un amore “fino alla fine”: è questo il termine che Giovanni utilizza per presentare quel gesto tanto umile quando disorientate come può essere il lavare i piedi ad un altro. Gesto servile, al limite dell’umiliazione; atto di riduzione, di annientamento, di abbassamento. Quel ripiegamento è la cifra di un amore “fino alla fine”, quel atto di “igiene” del corpo è il segno di una dedizione senza risparmio, senza limite, senza misura.
Quel “fino alla fine” è certo la testimonianza di una fedeltà onorata, di un impegno rispettato, di una decisione riconfermata. “Fino alla fine” dice che c’era un “prima” che va “oltre”, che giunge ad un punto di non ritorno; un scelta che non prevede vie di fuga o ripensamenti. L’espressione allude al termine di un percorso, alla fine del viaggio, al raggiungimento della meta.
Ma in quel “fino alla fine” non si va solo a fine corsa ma nella profondità della terra. È “fino alla fine” perché è compimento di un amore, dono inesigibile, largizione estrema ed ineffabile. “Fino alla fine” racconta di un “oltre” non solo nelle logica del tempo ma anche in quella dell’abisso dello spazio.
Forse quel “fino alla fine” è non solo la misura di un amore divino ma anche il termometro dell’amore umano: ogni amore, degno di questo nome, è nell’ordine della fedeltà, del per-sempre, dell’una-volta-per-tutte; eppure esso è pure appello ad un tutto da consegnare, ad una vita da regalare, ad un legame che non conosce misura.