Questo prolungato distanziamento sociale mi ha creato un grosso residuo di abbracci che avrei voluto dare – e che in tempi normali avrei dato – ma che in questo periodo di cornavirus non è opportuno scambiarsi. Ci sono situazioni in cui un abbraccio dice più di tante parole che ti possono passare per la mente; un abbraccio è sincero, diretto, arriva dritto all’altro senza troppe curve o simulazioni. Capite allora come l’assenza dell’abbraccio sia stato – ed è tuttora – un grosso limite alla mia (e alla nostra) possibilità di comunicare affetto e vicinanza.
Mi sono così ritrovato, dicevo, un baule pieni di abbracci non dati, di gesti non espressi, di tocchi mai giunti a destinazione.
Mi è rimasto un abbraccio non dato a quell’amico che ha attraversato un periodo nero con la sua famiglia, segnata da sofferenza, disagio e impotenza. Mi sarebbe piaciuto darglielo, per ricordargli quanto gli sono legato e quanto lo sto pensando in questo momento.
C’è poi un altro grosso abbraccio destinato a un caro parente che sta attraversando una malattia bastarda e feroce e penso che un abbraccio lo avrebbe fatto sentire meno solo ed escluso.
Ho un abbraccio per un collega, perché ci terrei molto a fargli sapere quanto sono felice dei progressi che ha fatto, di come è maturato umanamente e professionalmente. Certi traguardi meritano un forte abbraccio che dica in modo chiaro e cristallino “sono fiero di te!”.
C’è un abbraccio che era offerto ad un caro amico, che è sempre presente, che si preoccupa di me, che cerca, talvolta in modo un po’ buffo ed impacciato, di esprimere quanto tiene a me. Ecco, l’abbraccio sarebbe stato il gesto giusto per dire: apprezzo le tue intenzioni anche se a volte sono espresse con un po’ di comica goffaggine.
Ho un abbraccio per quel giovane che sta facendo scelte importanti per la sua vita: non c’è nulla come un abbraccio per infondere coraggio, determinazione e dire con convinzione “Forza! Sono con te!”
C’è poi quella amica, gemelli separati alla nascita, per la quale un abbraccio è un abbraccio e non serve dire altro: è tutti lì, tutto in quella stretta, in quel tocco.
Quanti abbracci avrei voluto dare e come mi pesa non averlo fatto. La loro assenza è come andare al Louvre senza vedere la Gioconda, guardare la Juve senza Ronaldo o visitare Roma senza passare da San Pietro: certo, ci si può accontentare, ma non è la stessa cosa. È come se mancasse la ciliegina sulla torta, l’acuto finale del tenore, la pennellata del maestro.
Ogni abbraccio per me è un sigillo posto su un legame, che ricorda a me e testimonia all’altro, che, in fondo, ci apparteniamo reciprocamente, anche se spesso lo dimentichiamo.