AstraZeneca e l’informazione

Di cosa ci sta “nutrendo” l’informazione, in questo tempo di pandemia? Che tipo di notizie sta diffondendo, quale “rumore di fondo” sta creando? Qual è il mood che carta stampata, TV ed internet stanno alimentando in questa nostra società così provata da mesi e mesi di pericolo, morti e restrizioni? Manuel Lozano Garrido, primo giornalista laico proclamato beato dalla Chiesa, invitava i suoi colleghi giornalisti a “pagare con la moneta della franchezza”, a “lavorare il pane dell’informazione pulita con il sale dello stile e il lievito dell’eternità” e a non servire “né pasticceria né piatti piccanti, piuttosto il buon boccone della vita pulita e speranzosa”. Ricordava queste sue parole papa Francesco, nel suo ultimo incontro con l’Unione Cattolica Stampa Italiana (2019).

Alla luce delle recenti notizie legate al tema delle vaccinazioni, forse qualche domanda occorrerebbe tornare a porsela. A fronte di qualche apparente caso di reazione avversa alla vaccinazione, è partito un tam tam mediatico che ha creato allarme e preoccupazione nella popolazione e diffidenza verso l’utilità e la sicurezza del vaccino.

È evidente che nel momento in cui si inocula un farmaco ad una larghissima fetta di popolazione, ogni precauzione è necessaria e occorre valutare con estrema attenzione ogni caso sospetto, per evitare rischi incontrollati ed effetti indesiderati (talora gravi) inattesi. Eppure tale valutazione deve essere compiuta con perizia e competenza e non sull’onda di un movimento emotivo “di pancia”, incapace di valutare le cose nella loro verità. Qualche caso di presunta reazione avversa (ancora tutta da studiare) in relazione a diverse milioni di dosi somministrate in tutto il mondo deve essere qualcosa da considerare con cura e con atteggiamento razionale e scientifico da parte di chi è deputato a farlo. Urlare titoli ad effetto crea solo panico nella popolazione: se è vero che tutto questo forse aiuta a vendere qualche copia in più o a garantire più visite alla pagina internet, di certo non contribuisce a fare chiarezza sull’accaduto. Credo che se verificassimo i casi di reazione negativa riscontrati settimana scorsa rispetto a coloro che hanno preso una pastiglia di paracetamolo ne resteremmo impressionati.

L’assunzione di qualunque farmaco è frutto di un attento bilanciamento di effetti positivi ed effetti collaterali. Nessun farmaco è “innocuo”, nel senso di privo di possibili rischi: taluni sono molto limitati (motivo per cui prendiamo tranquillamente il paracetamolo se abbiamo il mal di testa) altri molto alti (infatti certe cure chemioterapiche vengono somministrate solo a pazienti in pericolo di vita). Questo rapporto costi/benefici è qualcosa che l’opinione pubblica fatica a capire e che occorre approcciare con grande attenzione da parte chi fa informazione. Se vaccinarsi è un rischio anche non farlo lo è: ogni giorno è come se un Boeing con 350 persone a bordo cadesse dai nostri cieli. Anche non fare nulla ha un costo!

Allora sarebbe bene che chiunque lavori nel campo dell’informazione fosse maggiormente consapevole del valore etico di quello che scrive. Dice il papa, sempre nell’incontro citato: “La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere”. Le parole, soprattutto quelle di coloro che raggiungono tantissime persone, hanno il potere non solo di raccontare ma anche di modellare il mondo. Quanto ciascuno di noi dice, soprattutto se in modo professionale, incide sulla vita e sulla scelta degli altri. Il bene comune non può essere bandito dal vocabolario di coloro che fanno giornalismo: non si tratta di censure o asservimenti a questo o quel potere, bensì pensare le parole dette e scritte in relazione al bene di tutti e di ciascuno.

Questo mio articolo è stato pubblicato come editoriale de Il Cittadino del 17 Marzo 2021


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