andare “oltre”…

Che Pasqua sarà quella del 2021? Ci avete mai pensato? Come vivremo questi giorni di festa, questo tempo di rinascita e di resurrezione? Dobbiamo ammetterlo: quanto accade attorno a noi non sostiene il nostro tentativo – seppur timido – di attraversare questo periodo con quel minino di serenità e di pace che il tempo richiederebbe. Stiamo (forse) uscendo da mesi faticosi e travagliati, mesi che hanno stravolto lo stile della nostra vita, costringendoci ad un isolamento forzato e innaturale, ad una segregazione esistenziale e ad una amputazione di quelle relazioni che ci tenevano in vita. La crisi economica, inevitabile conseguenza del lock-down ci attanaglia e tinge il nostro futuro di un alone di incertezza e di provvisorietà, talvolta inquietante. Ormai lo si coglie anche nei colloqui feriali tra le persone: c’è un umore rassegnato, frustrato, insofferente; c’è un clima di depressione sociale, di rinuncia, di intolleranza verso vincoli e limiti che paiono ormai divenuti insostenibili. Aveva ragione papa Francesco quando, in un suo recente discorso, sottolineava che abbiamo vissuto la Pasqua 2020 da gente spaventata, ora siamo un popolo provato. Dallo sgomento alla prova: questa forse, in poche parole, è la parabola di questi due anni di pandemia.

Ammetto che in questo contesto sociale ed esistenziale la domanda iniziale rischia di assumere un tono quasi irriverente, se non addirittura urticante: cosa vuoi celebrare in questi giorni faticosi, cupi e incerti? Non potremmo, almeno quest’anno, prenderci una pausa dalla gioia pasquale, una breve sospensione dal tempo del gaudio, affinché esso non risuoni così inopportuno e sconveniente?

Pensavo, in queste giornate di inizio primavera, ai miei amici Anna e Aldo, due giovani genitori di tre splendidi figli, che, non sazi del carico di vita familiare che si trovano già a gestire, anni fa hanno scelto di aprire la loro casa a due piccoli monelli bisognosi di trovare, temporaneamente, una casa disposta ad accoglierli. Proprio in questi giorni pre-pasquali, dopo un lungo e travagliato percorso, ai due piccoli è stata trovata una famiglia definitiva, sicché, i due fratellini hanno dovuto lasciare la loro famiglia affidataria. Mi ritrovo spesso a pensare ad Anna e Aldo e a quel gesto tanto nobile e sofferto che la vita ha chiesto loro di compiere: quello di lasciar andare i due piccoli ospiti, che, dopo mesi e mesi di convivenza, erano per loro come figli. Penso al loro gesto di generosa liberalità ma ancor di più penso alla gratificazione dolorosa che ha accompagnato questo loro ultimo gesto di affetto: dire addio a due bambini di cui ci si è presi cura è qualcosa che, allo stesso tempo, ti strazia il cuore di dolore e te lo gonfia di gioia inesprimibile. Dire addio segna la cesura di un legame ma allo stesso tempo è la condizione per una nuova nascita.

Forse c’è un tratto squisitamente pasquale in questo gesto, tanto intimo quanto silenzioso. Il gesto di Anna e Aldo ci insegna che c’è un dolore per la vita ed un dolore per la morte. Esiste una sofferenza che testimonia la drammaticità dell’esistenza e l’insensatezza del vivere, ma c’è pure un patimento che è il preludio ad una vita rinnovata  e riconciliata. Il fallimento, la sconfitta, la malattia, la fragilità possono trasformarsi nella tomba del desiderio, in un sepolcro in cui ogni speranza si acquieta in un tragico silenzio, oppure possono divenire il grembo fertile di una possibile rinascita, il terreno fecondo per nuove germinazioni. Mi domando se il gesto pasquale di Anna ed Aldo non siano capaci di gettare una luce differente su questa stanca Pasqua 2021. Mi domando se il loro lasciar andare ed il loro sapersi separare non possano indicare un cammino possibile, un percorso di vita capace di oltrepassare il dolore della perdita. Talvolta il dolore della fine è luogo in cui si propizia un nuovo inizio.

Questo mio articolo è stato pubblicato su Il Cittadino del 6 Aprile 2021


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