io sono tuo…

A volte le parole fanno la differenza. L’ho pensato questa mattina durante il matrimonio di Lorenzo, che, dopo un anno di rinvii dovuto alle note ragioni, è riuscito a convolare a nozze con la sua sposa.

Il Cantico dei Cantici è un classico dei matrimoni: la poesia dei suoi versi e quella passione così umana e carnale che attraversa le sue pagine fanno di questo libro un inno all’amore sponsale, capace di parlare assi più di tanti trattati teologici.

Una frase mi ha colpito del testo letto: “Io sono per il mio amato e il mio amato è per me”. Che meraviglia! Mi chiedo se alla fine non stia tutto qui l’amore tra l’uomo e la donna: quell’appartenersi che ti porta a spossessarti di te stesso per essere pienamente dell’altro…Amarsi significa dirsi “sono tuo, non mi appartengo più, quello che prima consideravo un tesoro per me, ora diventa un dono da condividere con te”. Sono parole dolci e delicate ma nascondono, sotto il loro manto grazioso, le aspre spine che ogni vero amore comporta ed esige. Essere di qualcuno è un atto duro, spesso doloroso, che chiede impegno e dedizione, volontà e fede. È quell’atto  mistico e divino che sa vincere il gesto naturale ed istintivo all’autoconservazione che ciascuno di noi si porta dentro.   

Dicevo della differenza che fanno le parole: oggi va molto dire che due “stanno insieme”. Bello. La forza della compagnia, della condivisione, dell’intesa, pure della complicità. Eppure quanto quello “stare insieme” suona incapace di dire la profondità dell’amore. C’è forse un abisso tra lo stare insieme e l’appartenersi. Il primo dice di un gesto nobile e profondamente umano, generoso e capace di solidarietà. Eppure “io ti appartengo” disvela una movimento vitale assai più radicale e profondo. L’appartenersi, per restare su un’immagine cara al Cantico, è come un sigillo posto sulla carne, come un suggello che marca indelebilmente il cuore rendendolo per sempre di qualcuno.

“Io ti appartengo” è una frase che apre alla vocazione eterna dell’amore, alla sua totalità inebriante, alla sua fedeltà creativa e alla sua inesauribile generatività.

È quello che auguro di cuore a Lucrezia e Lorenzo.


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