puntare il dito: ma contro chi?

Le cosa cambiano davvero in fretta: è un attimo passare dal cercare lo spacciatore in casa altrui e trovarselo in casa propria… è il lampo di un istante, un batter di ciglia, lo schioccare delle dita.

È sempre pericoloso esercitare una morale rigida e implacabile con gli altri essere umani, giacché la fragilità ed il fallimento appartengono alla nostra carne, senza distinzione di tessera di partito, di censo o di nazionalità.

La cosa che impari presto nella vita, se solo hai l’umiltà di starla ad ascoltare, è che la miseria sta ovunque: nei luoghi dei poteri e nei sacri palazzi come nei sucidi appartamenti di periferia; sta in coloro che battono le strade di notte o che vestono ricche vesti liturgiche in una chiesa. La miseria abita il nostro cuore come una tentazione sempre possibile e come una caduta sempre in agguato. Puntare il dito verso chi ha fallito è qualcosa da fare con parsimonia e moderazione giacché dall’altra parte del dito può capitare che, prima o poi, ci finisca tu.

La purezza, il rigore, l’algido candore non sono di questa terra, benché qualcuno spesso tenda ai dimenticarselo. Chiamatelo peccato originale o umana fragilità o finitudine esistenziale o gettatezza ontologica… comunque preferiate definirlo resta la consapevolezza che la nostra è una umanità ferita, mai pienamente realizzata, mai compuntamente perfetta.

Elevare un popolo, un gruppo, un partito, una chiesa, una squadra, una associazione o una qualunque comunità umana a luogo in cui sperimentare la purezza delle cose è qualcosa di pericoloso, potenzialmente distruttivo ed disumano. Si rischiano tragedia immense o, più prosaicamente, brutte figuracce.


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