breathe…

“Respira… respira.. prendi fiato…” diciamo solitamente a chi attraversa un momento di ansietà, di paura o di panico. Regolarizzare il respiro è sempre un’ottima strategia per calmarsi e per affrontare le difficoltà senza quel peso sullo stomaco e nella testa che toglie lucidità e ragionevolezza. “Respira!” è l’invito a fermarsi, a non perdere il controllo, a non farsi sopraffare dagli eventi. “Respira!” è la strategia per sopravvivere di fronte ai problemi che assalgono e che, appunto, tolgono il fiato. Respirare è un movimento naturale e involontario che, tuttavia, l’ansia è in grado di interrompere o di modificare. Come un canto melodico che esce dalla bocca genuino e che l’apprensione tronca con intervalli e sospiri indesiderati.

L’invito a respirare contiene, a ben vedere, una esortazione capace di andare al di là della pura meccanica biologica ed oltre la naturale fisiologia polmonare. Esso evoca una dinamica assai più radicale e vitale per la nostra vita: quella che afferisce all’inspiro e all’espiro, al prendere e al rilasciare l’aria. Il respiro è quell’atto che si muove tra il gioco del prendere e quello del lasciare, quello dell’assumere e quello del perdere. È la dinamica che accompagna tutta la vita, fatta di prese e rilasci continui, spesso consapevoli, altre volte irriflessi. L’esperienza si struttura attorno a queste due gesti tanto elementari quanto vitalmente fecondi: nello nostre giornate accogliamo e doniamo parole, persone, gesti, eventi, accadimenti e dolori, affetti e sorrisi, gioie e fatiche. Il nostro tempo è animato da questo singolare “commercio” tra noi ed il mondo, a questo scambio che rende la vita pienamente umana e gioiosamente feconda.

Allora l’invito a respirare afferisce a qualcosa di più di una semplice tecnica di rilassamento: è l’esortazione a sintonizzarsi con l’andamento della vita, con la logica che presiede lo scorrere del tempo, la meccanica che rende possibile la vita. Come a dire: ricordati di prendere ma anche di lasciar andare; educati a trattenere ma anche a liberare, a sciogliere, a svincolare.

Quante volte nella vita ci sentiamo così morbosamente attaccati a qualcosa a tal punto da senticene prigionieri? Quante volte la nostra presa diviene una prigione, la nostra accoglienza una gabbia, la nostra ospitalità una reclusione. Imparare a prendere e a lasciar andare, proprio come facciamo con l’aria che inaliamo; esercitarsi ad abbracciare ma anche ad allontanare, a lasciar perdere, a creare distanze.

Una cosa ho imparato con il tempo: che forse non possediamo mai davvero ciò che tratteniamo forzatamente e chelasciar andare, talvolta, è solo un modo alternativo, per godere di una cosa con imprevedibile novità.


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