piccole note a margine del sinodo…

Una massima delle teoria delle organizzazioni e dei sistemi complessi recita “Ogni sistema è perfettamente progettato per ottenere i risultati che ottiene”. La frase, attribuita a William Edwards Deming, celebre saggista e docente americano, intende sottolineare una verità di base dello studio delle organizzazioni: i risultati di una organizzazione dipendono primariamente da come essa è stata disegnata e implementata. Vale per qualunque organizzazione umana: dalla famiglia ad un partito, da un sindacato ad una organizzazione di volontariato, da una comunità ecclesiale ad un gruppo culturale, dalla scuola ad una università. Se siamo insoddisfatti per quanto una organizzazione crea o per come essa funziona, il motivo di fondo non va primariamente ricercato nel comportamento dei singoli, nelle loro intenzioni o interessi, ma essenzialmente nel modo in cui quella organizzazione o comunità è stata strutturata, quale norma regola il suo funzionamento, in base a quale principio ordinatore è stata definita. In sintesi, quello che la teoria dei sistemi dichiara è: se vuoi modificare i comportamenti, modifica l’organizzazione.

Senza voler prendere per Vangelo questa teoria (che come tutte è sottoposta a limiti e fallimenti) credo che occorra riconoscere come vi sia del vero in essa. Penso che sperimentiamo tutti quotidianamente la validità di questa modello: sono spesso le norme implicite della vita familiare che spiegano certi comportamenti dei figli; sono gli obiettivi che una azienda persegue che incide sul lavoro dei suoi dipendenti; sono i meccanismi di funzionamento della scuola che incentivano questo o quell’impegno da parte degli studenti. La teoria dei sistemi invita a guardare alla globalità del sistema: vi sono meccanismi e strutture sottostanti al modello organizzativo che hanno un peso spesso determinante sul raggiungimento degli obiettivi che tale organizzazione si è prefissa.

Penso che la comunità ecclesiale non faccia eccezione rispetto a questa regola di funzionamento. Pur consapevole della natura particolare di questa comunità (la teologia ci ricorda la natura umano-divina della Chiesa), essa, tuttavia, proprio in nome del principio di Incarnazione, vive pienamente la storia e ne assume in pienezza le norme e principi di funzionamento. Se è vero che da una parte non possiamo usare criteri solamente sociologici o organizzativi per leggere ed interpretare la vita ecclesiale, dall’altra parte occorre riconoscere che essa è un fenomeno pienamente umano, impastato di tempo e di storia, che abita (anche) “questo” mondo e non solamente una dimensione celeste.

Ecco quindi, a mio parere il punto: la chiesa laudense sta vivendo un significativo momento di discernimento comunitario attraverso l’esperienza del cammino sinodale. Penso che se la comunità cristiana vuole davvero vivere una conversione missionaria (come più volte indicato da Francesco) debba necessariamente porsi il tema della propria organizzazione e del modo con cui struttura il proprio funzionamento. “Ogni sistema è perfettamente progettato per ottenere i risultati che ottiene”: questo vale anche per la nostra chiesa locale. Essa ottiene esattamente i risultati che sono frutto della sua organizzazione. Per analogia credo che se si vuole convertire i comportamenti dei fedeli laici, dei sacerdoti, degli operatori pastorali e di tutti gli altri soggetti coinvolti, non sia possibile perdere il focus sul modello organizzativo. Credo che sia lì che occorra incidere profondamente e con decisione. Una attenzione ridotta al dettaglio, al singolo comportamento personale, alle motivazioni e allo stile individuale, rischia di perdere di vista i veri fattori che determinano il tutto, rischiando di trasformare le scelte di cambiamento in auspici che mancano il bersaglio.

Se vuoi cambiare i comportamenti dei singoli, non dimenticarti di cambiare (anche) la tua organizzazione.


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