Non se è capitato anche a voi ma a me pare che questo 25 aprile abbia un sapore molto particolare, come se si trattasse di una riscoperta, di una ritrovata consapevolezza, di un ritrovamento di un ricordo prezioso e un po’ dimenticato. Forse è davvero così: la guerra a cui stiamo tutti assistendo in diretta social e TV sta risvegliando nella nostra mente e nei nostri cuori il senso di un evento che rischiava di trasformarsi in oggetto da museo, in una celebrazione un po’ retorica e tronfia.
Per quanto molti si sforzassero di parlare di liberazione, di ritrovata libertà, di evento fondativo della nostra comunità nazionale, il 25 aprile ogni anno diventava l’occasione di un dibattito “storico” e accademico, un momento attorno al quale confrontare idee politiche, posizioni ideologiche e opinioni personali. Un po’ come si parla del congresso di Vienna o della rivoluzione russa: eventi centrali nella storia europea ma tutto sommato ininfluenti sull’oggi delle nostre vite, incapaci di parlare e di trasmettere il pathos da cui erano animati. L’effetto complessivo era che la festa della liberazione tendeva ad essere qualcosa buona per i sopravvissuti a quell’evento (sempre meno a dire il vero, per via dell’età) e di una parte politica che si sentiva erede di quel grande movimento di popolo.
Il 25 aprile di quest’anno, beh, mi pare abbia ritrovato il suo appeal, il suo fascino, la sua loquacità. Il popolo ucraino ci sta mettendo davanti agli occhi la testimonianza, drammatica ed eroica, del significato del verbo resistere: resistere all’aggressione, all’ingiusta invasione, lottare per la propria libertà, per i propri valori, per il futuro del propri figli, per il valore della propria comunità nazionale. Resistere per sopravvivere.
È come se il popolo ucraino ci stesse facendo fare un viaggio nella memoria, stesse resuscitando consapevolezze perdute, pensieri dimenticati, valori un po’ obnubilati. La gente dell’Ucraina ci sta rieducando al senso della parola libertà che forse le nostre società occidentali, un po’ opulenti e stanche, avevano pensato di poter mettere in un cassetto.
Resistere è ricordare che la libertà non è una cosa guadagnata per sempre, non è un bene a lunga conservazione, non è un oggetto che si trova a suo agio nelle polverose stanze di un museo. Resistenza è anzitutto uno stile quotidiano, una pratica feriale, l’atteggiamento di chi, consapevole del carattere fragile e volatile della propria libertà, è disponibile a combattere ogni giorno perché esse sia custodita, riaffermata, celebrata.
Pur nella drammaticità degli eventi, spero che resti questa lezione a noi italiani del 2022: la lotta di liberazione, che i nostri nonni e bisnonni hanno combattuto, esige oggi di essere riassunta come una esigenza vitale, improrogabile, ineludibile. Resistere significa restare umani, non perdere il senso del proprio valore, il peso della propria identità. Resistere significa sentirsi solidali con chi, anche oggi e non lontano da casa nostra, sta resistendo, si sta sacrificando per la propria libertà ed il proprio futuro.
Buona festa del 25 aprile allora, nella consapevolezza che talvolta la storia ci chiede di resistere nella nostra umanità, anche a caro prezzo.