“Io non sono quello che voi pensate!” (At 13,25) dice Giovanni il Battista a coloro che gli chiedevano conto della sua identità. La gente ha delle attese su Giovanni ma egli chiarisce immediatamente che la sua identità non dipende dalle aspettative che gli altri ripongono si di lui.
Non è questo forse il primo passo verso il percorso che ci porta ad essere quello che siamo?
In altre parole, la dinamica della nostra identità non origina prima di tutto dal rifiutare quello che gli altri si aspettano da noi, quello che loro vorrebbero che noi fossimo, i sogni e le attese che essi hanno pensato di intravedere in noi? Non è forse vero che possiamo diventare autenticamente noi stessi solo nella misura in cui rinunciamo ad essere classificati, determinati, etichettati dagli altri, secondo i loro, pur legittimi, desideri, aspettative e compiacimenti? La strada verso la nostra individualizzazione passa necessariamente da un “no” pronunciato con decisione verso ogni maschera che gli altri vorrebbero farci indossare, verso ogni copione che ci vorrebbero far recitare, verso ogni vestito che ci vorrebbero far indossare.
Si diventa se stessi rivendicando la propria unicità e differenza rispetto agli appetiti altrui, ai loro desideri e alle loro speranze. Chi è padre di figli adolescenti capisce bene a cosa mi sto riferendo: ogni giorno mio figlio mi ripete “io non sono quello che voi pensate!” e me lo dice con durezza, a volta eccessiva, ma pure con la grinta di chi sta lentamente cercando ed affermando la propria identità.
Occorre tracciare una separazione, un confine, una barriera tra ciò che siamo e ciò che gli altri vorrebbero che fossimo. La comunità in cui viviamo, la famiglia, l’ambiente lavorativo ed amicale, le persone che incontriamo naturalmente proiettano su di noi una serie spesso inconscia di aspettative. È come se ci guardassero attraverso delle lenti che filtrano la nostra identità e modificano la nostra soggettività in base a criteri che poco ci riguardano. È un movimento normale e fisiologico in ogni famiglia umana.
Eppure Giovanni ci ricorda che per essere autenticamente noi stessi occorre il coraggio di allontanarci da quelle proiezioni, da quelle ombre scomposte, da quelle immagini che gli altri costruiscono attorno a noi. La strada che ci conduce, lentamente e gentilmente, a noi stessi, passa dalla fatica di rinunciare al compiacimento che gli altri ci restituiscono quando soddisfiamo le loro aspettative.
“Io non sono quello che voi pensate!” è l’invito ad essere pienamente e gioiosamente se stessi, felici per quello che siamo ed appagando gli unici occhi che davvero contano: i nostri.