La recente, e schiacciante, vittoria di Andrea Furegato alle elezioni amministrative di Lodi rimette al centro dell’attenzione delle nostre comunità civili, politiche e religiose, la questione giovanile. Il sindaco venticinquenne di Lodi è uno dei più giovani di Italia e rappresenta, senza ombra di dubbio ed indipendentemente dalla parte politica a cui si appartiene, una delle espressioni più belle e significative di quella generazione che, nata a cavallo del nuovo millennio, stenta oggi a trovare un proprio spazio ed un proprio ruolo nelle società occidentali, ed in particolar modo in Italia, da sempre segnata da una gerontocrazia imbarazzante e lobbistica.
In una società come la nostra, ormai abituata ad osservare la storia con gli occhi rivolti a ieri, l’affermazione di Andrea è una boccata di aria fresca che entra dentro il circuito delle istituzioni, dentro i circoli del potere, in quei luoghi in cui si decide il futuro di una comunità e di un territorio.
Eppure stupisce come le giovani generazioni siano oggetto di un’attenzione, spesso morbosa, quando si rendono protagoniste di atti di vandalismo, di devianza o di vera e propria illegalità, ma guadagnano poco la nostra riflessione quando invece sono in prima linea in percorsi di impegno e cambiamento. Intendiamoci: Andrea ha goduto di una fama straordinaria nei giorni seguenti il voto, ma, mi pare, più come un fenomeno mediatico, curioso e singolare; non ho visto un serio ragionamento su cosa la sua elezione, così ampia, abbia da indicare alle nostre comunità. Liquidare la questione come l’impresa straordinaria di un valente giovane temo rischi di mancare il bersaglio e smarrire il senso di quello che è accaduto.
Scrivo questo pezzo appena tornato a casa da una festa nel mio paese, organizzata da una attiva associazione giovanile che, attorno ai temi della legalità, della solidarietà, dell’amicizia e del volontariato, ha tessuto una reta preziosa di rapporti, relazioni, contatti sociali e di mutuo supporto. Il segreto del suo successo, penso, consista nella possibilità che essa offre di concreti spazi di protagonismo giovanile, luoghi ed esperienze in cui i giovani non si sentono solo destinatari di un proposta, ma attori di una storia, comprimari di vicende che possono vivere in prima persona con grande libertà.
È un punto questo, secondo me, dirimente per le nostre comunità civili, politiche e religiose e che spesso tendiamo a eludere in nome di un sano (a dir nostro) buonsenso ed un doveroso senso di realtà. È comune la lamentela dell’assenza del mondo giovanile dai circuiti classici della socialità (partiti, sindacati, associazioni, parrocchie, circoli, etc.) ma poca è la nostra disponibilità, come mondo adulto, ad interrogarci sulle opportunità concrete che i giovanti trovano in questi ambienti.
Siamo onesti: la logica del “si è sempre fatto così” ancora regola le nostre comunità tanto che ogni novità, ogni cambiamento ed ogni deviazione di rotta, sono percepiti come un rischio, un ostacolo, un pericolo da scampare.
Mi chiedo se l’elezione di Andrea non sia il richiamo a noi, mondo adulto, ma pure a lui, neo amministratore locale, ad investire sul mondo giovanile come la risorsa più preziosa per il futuro, come quella riserva di speranza che ci può permettere di guardare al domani con un minimo di serenità. E mi domando se, per noi mondo adulto impegnato nella crescita delle nuove generazioni, tutto questo non insegni la difficile arte dell’accompagnamento, la capacità di farci compagni di strada alla pari dei giovani che scelgono di impegnarsi per il bene di tutti. Non ci è chiesto di rinunciare all’esperienza maturata, né di scadere in un futile giovanilismo di ritorno. Credo invece che ci sia chiesto di “fare spazio”, di creare le opportunità, di aprire sentieri, di sostenere le cadute, di motivare le fatiche, di superare letture superficiali e banali del presente.
È l’esigenza di una alleanza intergenerazionale, capace di valorizzare i talenti che ciascuno è in grado di portare. È l’esigenza, ineludibile, per le nostre comunità, di mettere al centro della nostra cura le persone e non le strutture, le iniziative o i programmi. È l’esigenza di essere comunità generative, capaci di aprire alla vita: capaci, ossia, di custodire il passato, di abitare il presente e di aprire al futuro.
Pubblicato su Il Cittadino di oggi