«Dov’è Abele, tuo fratello?» chiede Dio a Caino dopo che questi lo uccise per invidia. «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» riprende Dio, chiedendo conto a Caino non solo dei propri atti ma anche della vita di Abele. Come risuonano attuali anche oggi queste parole alla luce dei terribili fatti accaduti a Civitanova Marche. «Uomo, dov’è tuo fratello?» verrebbe da chiedere anche oggi. Dov’è colui che condivide la tua stessa carne, che respira la tua stessa aria, che calpesta il medesimo suolo, che patisce le medesime pene e dolori, che lotta come te per un angolo di felicità su questa terra?
Come assomiglia la nostra risposta a quella di Caino, che, alla domanda di Dio, non seppe dir altro che «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Anche noi ci guardiamo esterrefatti pensando che in fondo non ci apparteniamo, siamo degli stranieri gli uni per gli altri, perfetti estranei, lontanissimi parenti che poco hanno da dirsi e da condividere.
Lascia sgomenti quello che è accaduto a Civitanova, non solo per la gratuita atrocità e violenza ma anche per quel senso di indifferenza e distacco con cui la vicenda è stata vissuta e partecipata. Una violenza cieca, incomprensibile, una esplosione di rabbia che fatichiamo anche solo a comprendere. Da dove nasce questa brutalità? Da dove origina questa passione animale, questa prevaricazione aggressiva e furiosa che sentiamo tutti così intollerabile ed indegna della nostra umanità? Dove si è smarrito l’uomo? Dove abbiamo perduto il senso della nostra pietà, della naturale solidarietà e compassione che ci qualifica come appartenenti alla medesima specie di Homo Sapiens Sapiens?
Tornano alla mente le parole di un altro racconto, quello di quel disgraziato che da Gerusalemme andava verso Gerico quando incappò in un gruppo di briganti che lo lasciarono mezzo morto. Stessa scena, stessa reazione da parte di chi guardò incurante l’accaduto. Alcuni passanti videro ma andarono oltre, indifferenti alla sofferenza dell’uomo. Solo uno straniero provò compassione per quel disgraziato e si fermò, per prendersi cura di lui. Vi era una barriera religiosa, etnica, culturale tra il malcapitato ed il samaritano ma questi seppe guardare oltre la pelle, oltre la religione, oltre la lingua e l’appartenenza, disponibile a scorgere nel volto tumefatto dello straniero lo sguardo del fratello. Vi sono vicinanze che allontanano e separano e vi sono lontananze che legano, che generano connessioni, che amplificano la compassione e la pietà.
Forse la differenza la fa lo sguardo di chi osserva, l’occhio che scruta il mondo e le persone. Chi è l’uomo che mi sta accanto? Se l’altro si rivela un fratello, allora c’è ancora speranza, c’è una possibilità, una chance di convivenza; se l’altro è presenza ostile, mano vorace e rapace, estraneo da cui difendersi, minaccia alla mia vita e alla mia sicurezza, ecco che si spalancano le porte di un mondo fatto di rapina, violenza, competizione ed abuso.
La domanda di Dio a Caino è tanto semplice quanto radicalmente inquietante ed esigente. Caino resta fratello dell’uomo che ha ucciso, come se persino la violenza omicida fosse incapace di rompere quel legame originario che ci lega gli uni agli altri. Abele è e resta un fratello, indipendentemente da quello che Caino ha scelto di fare nei suoi confronti. La fratellanza è un rapporto che Caino non ha scelto per sé e, proprio per questo, risulta indisponibile alle sue passioni, alle sue azioni e misfatti. La fratellanza ci abita come una parte vitale della nostra vita, come una traccia di quella paternità universale che ci ha posti nell’esistenza. Siamo fratelli, indipendentemente dalle nostre voglie, dai nostri capricci e dei nostri limiti. Siamo fratelli e sì, caro fratello Caino, resterai per sempre guardiano di tuo fratello Abele.
Pubblicato su Il Cittadino di oggi.