una chiesa sulla soglia

Andare a messa in vacanza è una esperienza particolare: ci si sente ospiti di una diversa comunità che possiede abitudini, usanze e tradizioni diverse che spesso non coincidono con quelle a cui si è abituati. Sono i piccoli dettagli che, come sempre, fanno la differenza. In fondo la chiesa è un po’ come la casa: ci sono consuetudini che si consolidano nel tempo che rendono ogni casa unica, particolare, a suo modo speciale, benché condivida con tutte le altre abitazioni caratteristiche comuni.

Mi è capitato di prendere parte ad una celebrazione in una nota località balneare. L’edificio sacro appariva piuttosto “strano” se paragonato alle chiese delle nostre terre: un lato della chiesa risultava completamente aperto verso la piazzetta su cui si affacciava. Una parete mobile rendeva il luogo sacro tutt’uno con l’ambiente circostante, tanto che per passare dalla strada alla chiesa non vi era che qualche gradino a segnare la soglia del nuovo luogo. In corrispondenza della parete assente erano poi state collocate una serie di panche in modo tale che i fedeli potessero assistere alla celebrazione anche stando all’esterno dell’edificio. Certo il luogo marittimo, con le sue temperature miti, permette questa singolare architettura: difficile immaginare la stessa cosa nelle nostre terre fredde ed umide in inverno.

Confesso che l’effetto complessivo era assai intrigante e a suo modo suggestivo: l’architettura di quel luogo invitava, direi quasi naturalmente, ad una continuità tra i luoghi della vita e quelli della preghiera, una comunicazione tra lo spazio del sacro e quello del profano, una contaminazione tra quanto accade “fuori” e quello che succede “dentro”.

La cosa si è fatta ancora più espressiva quando la messa è iniziata: i canti e le parole della celebrazione si sono inevitabilmente uniti ai suoni che provenivano dalla strada e dalla vita che scorreva fuori dalla chiesa. Potete immaginare una serata estiva in una località turistica quanta “vita rumorosa” possa far rimbombare. Eppure, a parte qualche piccolo disturbo ed interferenza, l’esperienza spirituale non ne ha perduto in profondità, efficacia e spessore. La celebrazione ha da subito assunto una profonda dimensione “liminare”: vi era una soglia in quel luogo, una soglia esile e docile, che metteva in comunicazione due mondi, due realtà, due configurazioni del reale. Vi erano un confine, un limite, un ingresso simbolico che, invece che separare, metteva in comunicazione, creava connessioni, risonanze ed echi. Vi era una Parola che, dal cuore della comunità, si rendeva udibile nel mondo; ma vi erano pure le mille parole, i mille suoni e rumori, le multiformi esperienze dell’umano che “entravano” dentro i muri della chiesa e, grazie ad essa, dentro il cuore dei molti fedeli raccolti in preghiera.

Senza voler attribuire a quella esperienza particolare un valore paradigmatico, penso tuttavia che in quel modo di celebrare la fede fosse significato un senso profondo e stimolante, uno “stile ecclesiale” che, anche se in forma diversa, può interpellare anche le nostre comunità locali.

Ho colto come il tentativo di superare una separazione rigida ed assiomatica tra il dentro ed il fuori, tra la comunità ed il mondo, tra le parole della fede e le parole della vita. Vi è una compenetrazione naturale, una fecondità reciproca che si instaura tra fede e mondo, tra quanto indichiamo come spirituale e quanto è mondano. Vi è una connessione reciproca, una medesima radice, una medesima terra (adamà) che impasta l’uomo (l’adam) ed il mondo, una medesima trama che unisce l’umanità, nella sua dimensione concreta e allo stesso tempo trascendente, segnata dal qui ed ora e aperta all’eterno di Dio. Celebrare la fede in quel luogo e in quel “contesto architettonico” ha reso ogni fedele, quasi inconsapevolmente, un testimone della soglia ed un ministro della frontiera, di quello spazio discreto e povero che genera connessioni, che spalanca ponti, che onora il gesto coraggioso e vitale dell’entrare e dell’uscire.

Mi chiedo quanto le nostre comunità, spesso ancora così autocentrate, abituate ad atmosfere tetri e ad arie un po’ stantie, abbiano bisogno di gente capace di “abbattere pareti”, di spalancare finestre, di trovare strategie affinché la Vita Buona torni ad abitare gli spazzi della vita e le gioie ed i dolori degli uomini tornino ad dimorare nel cuore di noi credenti. 

pubblicato su Il Cittadino del 9 agosto 2022.


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