Il mio articolo per Dialogo, il mensile dell’AC di Lodi, inserto de Il Cittadino
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Il termine “spiritualità” suona oggi un po’ problematico e, in qualche modo, ambiguo. Va usato con cautela e parsimonia per evitare facili fraintendimenti e gravi abbagli. Esso, infatti, da una parte evoca dimensioni eteree, atmosfere rarefatte e irreali, spesso eredità di sensibilità e culture lontane; dall’altra allude ad un certo intimismo, ad un ripiegarsi su sé stessi, sui moti dello spirito, in un modo un po’ solipsistico ed autocentrato. La persona “spirituale” è colei che accede ad una realtà celeste, lontana dalla concretezza delle cose, immune da tutto quanto accade nella concretezza della vita. È questo forse il tratto più “pericoloso” e problematico del modo di intendere la spiritualità: esso evoca un senso di fuga, di rinuncia del mondo, di ripiegamento su sé stessi, grazie ad una anestesia dei sensi e ad un silenziamento delle percezioni.
Nulla di più lontano dall’esperienza che i Vangeli ci restituiscono circa il modo con cui il Figlio di Dio ha abitato questa dimensione essenziale della Sua vita. Se è vero che il Maestro di Nazareth è spesso descritto in situazioni di preghiera prolungata ed isolata, Egli non ha mai perduto il contatto con la concretezza del mondo, con la sua immanenza patica, con quanto ogni uomo sperimenta nella quotidianità della propria esistenza. I momenti che noi chiameremmo di “spiritualità” di Gesù non sono stati episodi di fuga o di rinuncia, bensì la condizione di possibilità per la sua “immersione” fedele e radicale nel mondo. Il Figlio abita profondamente il mondo non nonostante la sua vita spirituale, ma grazie ad essa. Il radicamento nel Padre è la sola strada che Gli è concessa per essere pienamente Figlio e, in quanto tale, Fratello di ogni uomo e di ogni cosa.
La spiritualità di Gesù, così come quella di ogni suo discepolo di ieri e di oggi, si esprime nella possibilità di vivere secondo lo Spirito, di abitare la terra con lo stesso stile del Figlio, di attraversare l’esistenza così come l’ha fatto Lui. La spiritualità per un cristiano, allora, ha a che fare con il vivere la vita nello Spirito del Figlio, non una vita altra o distante o celeste, ma la vita quotidiana che ad ogni uomo è chiesto di vivere, ma con lo “stile del Figlio” e sotto la guida del Suo spirito.
La vita nello Spirito credo assuma due tratti essenziali ed irrinunciabili: essere il sale della terra e la luce del mondo. Ai discepoli di Gesù non è chiesta alcuna rinuncia, nessuna privazione o preclusione; a loro è chiesto di vivere le dimensioni “normali” della vita con uno stile ed un passo diverso. A chi sceglie di accogliere il Maestro come senso irrinunciabile della propria esistenza, è chiesto di vivere l’amore, il dolore, la fatica, l’amicizia, la maternità e la paternità, la giovinezza e la malattia, la vecchiaia e la sconfitta, i successi e gli impegni quotidiani, il lavoro e lo studio, il riposo ed il divertimento con una “marcia in più”, come la testimonianza di una qualità della vita che va oltre la morte e la fine. Ci è chiesto, nella banalità delle nostre giornate, di dare luce e sapore al tempo che scorre, agli incontri che viviamo, agli impegni che ci occupano, alle relazioni familiari, amicali e comunitarie in cui siamo inseriti. Vivere la vita nello Spirito non ci spinge al di là le cose ma dentro di esse, nel loro cuore più incandescente e vitale.
L’uomo spirituale è colui che abita con profondità la concretezza spesso banale e ripetitiva della propria vita; è colui che, proprio come fa il lievito, sa far fermentare la pasta dall’interno , nel nascondimento, nel silenzio e nella “dispersione”. Se essere luce allude ad una dimensione “pubblica”, visibile, esplicita della fede, essere sale e lievito ha più a che fare con la promozione nascosta e mite dell’umanità, con la testimonianza del Regno fatta con docilità, silenzio e umiltà.
Quanto questa logica del sale interpella la nostra vita personale, comunitaria ed associativa! Quanto lo scegliere di essere il lievito della pasta saprebbe relativizzare le nostre iniziative e le nostre attività; quanto saprebbe gettare una luce diversa sul nostro fare che spesso ci porta lontano dalla ferialità dell’esistenza, quasi alla ricerca di “spazi” di sacro rassicuranti e caldi! Quanto abbiamo oggi bisogni di testimoni umili che sappiano “sciogliersi” nella pasta affinché essa tutta lieviti e acquisti sapore! Si, oggi abbiamo un gran bisogno di uomini e donne “spirituali”, non come esperti di arcane sapienze, ma come granelli di lievito che, nell’apparente nascondimento ed inutilità, sanno far germogliare la bellezza e la pienezza della vita nella quotidianità delle nostre esistenze.