restate uomini!

Dove sei?” chiede Dio ad Adamo nel giardino dell’Eden, dopo che questi aveva mangiato del frutto dell’albero. Domanda scomoda, disorientante, spesso imbarazzante e sgradita. “Dove sei?” è la domanda delle domande, quella che più ci inquieta e ci indispone perché, talvolta, di fronte a questo interrogativo, non possiamo che rispondere con Adamo “ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto“. Si perché quella domanda fa davvero paura, perché ci obbliga a guardarci dentro, a constatare a che punto del cammino siamo, che tornante della vita stiamo affrontando. E non è raro che quell’interrogativo ci faccia rendere conto della nostra nudità.

Dio chiede “dove sei?” perché teme che Adamo si sia smarrito, abbia perso la strada, abbia confuso la direzione. È facile perdersi nella vita, allora, nel primo giardino, cosi come lo è oggi nelle nostre esistenze strattonate e sconquassate. Spesso ci si perde, ci si allontana dal sentiero, si imboccano viottoli che non portano da alcuna parte.

Ma vi è una cosa che rischiamo più frequentemente di smarrire e non sono tanto le cose, i valori, l’agire morale, le buone abitudini o il nostro pudore. La cosa a alto rischio di perdita è il valore della nostra umanità, la misura alta ed esigente del nostro essere uomini e donne, quella dignità che fa di noi persone uniche irripetibili, straordinarie. Forse quando Dio chiede “dove sei?” non intende tanto conoscere la rettitudine morale o l’obbedienza della legge bensì misurarsi con Adamo sul valore della sua umanità.

E così “dove sei?” è la domanda che rimbomba anche nelle nostre povere esistenze disorientate ed ambigue. “Dove sei?” ci chiede conto della nostra umanità, dello stile del nostro vivere, della signorilità delle nostre esistenze, del tratto del nostro stare al mondo. In fondo credo che la sfida stia tutta qui: diventare uomini, restare uomini, non perdere il senso alto di chi siamo e di chi siamo chiamati ad essere.

Forse il fallimento peggiore che possiamo sperimentare nella vita non consiste nel mancare un obiettivo professionale o di studio, nel tradire una relazione o fallire un progetto. Il rischio più grande è quello di non restare all’altezza della nostra umanità, di tradire il senso ed i sensi che ci abitano, di abbandonarci alla superficialità, alla banalità, alla mediocrità, alla bassezza e alla povertà.

Dove sei?” è la domanda che dovremmo farci ogni tanto per non perdere la direzione, per non smarrire la misura, per non ingannarsi circa la grandezza della nostra povera umanità.


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