come bravi allenatori

Quando alleni dei ragazzini in qualunque sport, hai la speranza e l’ambizione che essi possano crescere, migliorare e diventare dei giocatori migliori di te. Non ti preoccupa che ti possano superare nei traguardi che hai raggiunto; anzi, il tuo ruolo di istruttore ne esce rafforzato qualora scovi qualche “piccolo talento”, che possa eccellere e arrivare lontano.

Al netto di tutto, credo che sia più o meno la stessa cosa nella vita di una persona adulta. Forse c’è una fase nella vita di un individuo in cui lo scopo ed il senso del proprio tempo diventa quello di mettersi al servizio del futuro degli altri. Viene un momento in cui uno smette di preoccuparsi direttamente del proprio futuro, della propria realizzazione e dei risultati che ha conseguito e se ne occupa in maniera indiretta, attraverso il futuro e la realizzazione dei più giovani.

Vivi una specie di debito generazionale, senti il bisogno di darti da fare affinché chi viene “dopo” di te, abbia le stesse possibilità che hai avuto tu, possa accedere alla vita in modo pieno ed equilibrato. Non ti terrorizza più il pensiero di essere sopravanzato, non provi quel sentimento di invidia che ti porta a trattenere gelosamente quello che hai, anche a fatica, conquistato, per il timore che ti possa essere sottratto. Diventare il trampolino di crescita di qualcuno non turba più i tuoi sogni; il pensiero che un giovane possa superarti in abilità, competenze, possibilità, valore, non minaccia il tuo valore; tutt’altro. Questa evenienza la vivi come una benedizione per la tua vita, come un piccolo successo personale, come una gratificazione significativa della tua esistenza.

Non è, purtroppo, sempre così: incontro talvolta gente che è sempre impegnata in una impegnativa competizione, che considera chi gli sta vicino, soprattutto se giovane e talentuoso, come un rischio per la propria carriera, per la propria stima e per la propria posizione sociale.

Non so: sarà che mi sono sempre sentito poco in corsa per arrivare chissà dove, ma ultimamente la competitività ha ridotto ulteriormente la sua presa sul mio animo. O forse no: ambizioso lo sono lo stesso, ma in modo diverso. Sì, perché può dare adrenalina e soddisfazione tagliare per primo il traguardo, con gli occhi ammirati di tutti su di te, ma assicuro che dà lo stesso tasso di serotonina nel sangue gioire perché qualcuno, anche grazie al tuo sostegno, taglia il traguardo con le mani alzate, felice di aver raggiunto una meta preziosa ed ambita.


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