uscita di sicurezza

Credo sia capitato anche a voi di desiderare di essere diversi. A me capita spesso ultimamente. Non solo di essere altrove, ma di essere persone un po’ migliore.

Nel mio caso mi piacerebbe essere più solido, più resistente ed equilibrato, meno vulnerabile alla vita e alle circostanze. Mi piacerebbe che tutte le mie fragilità scomparissero improvvisamente, e chi mi conosce di persona sa quanto ne avrei bisogno. L’ideale è quello di essere persone più belle, che affrontano la vita con più disinvoltura, più semplicità e più coraggio. Ed invece tutte le mattine, quando ti svegli, ti ritrovi a fare i conti con le solite debolezze: ti guardi allo specchio e sei sempre tu, sempre uguale e con le stesse fatiche.

Ricordo di aver letto questa frase (credo sia il mio solito amico Qoelet): “Perché ci ostiniamo tanto a rendere il dritto ciò che Dio ha creato storto?”.  Forse sta qua una possibile “via d’uscita”, o almeno una dignitosa “uscita di sicurezza”.

Penso che la prima e la più radicale forma di obbedienza che dobbiamo alla Vita non sia tanto rispettare una legge morale o, per chi crede, degli insegnamenti rivelati. La prima obbedienza che siamo chiamati a vivere è l’obbedienza noi stessi, a quello che siamo, a quel volto che vediamo ogni mattina riflesso nello specchio. Per me è la cosa più difficile e dolorosa. È dire: questo sono io e non sono chiamato ad essere niente di diverso; la mia gioia e la mia realizzazione prendono forma in questo volto, non in quello di qualcun altro. La Vita mi vuole qui ed adesso, non altrove. Occorre restare fedeli a sé stessi, alla propria storia e alla propria geografia. Fedeli alla propria identità e al proprio progetto.

Non pensate che sia una cosa facile: è roba per gente tosta, gente che si spela le ginocchia e le mani a furia di cadere. Richiede grande impegno, disciplina e dedizione. In fondo, per noi gente normale, questa è la nostra lotta quotidiana, la nostra ascesi e la nostra santificazione.


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