Faceva notare Paolo Mieli sul Corriere di qualche giorno fa come il fenomeno migratorio, finito a più riprese e con grossi strepiti sulle prime pagine di tutti i giornali, abbia subito, nell’ultimo mese, una drastica riduzione.
Dati alla mano, nel mese di agosto sono sbarcati sulle nostre coste 2.859 profughi, contro i 10.366 dell’anno scorso. Anche il trend annuale è in netta discesa: ad aprile gli arrivi sono stati 12.943 (nel 2016 erano 9.149), a maggio 22.993 (19.957 nel 2016) e a giugno 23.526 (contro 22.339 dell’anno scorso). Già nel mese di luglio si era verificato un calo 11.459 (23.552 nel 2016). Insomma un calo considerevole degli arrivi, sorprendente soprattutto alla luce delle attese e delle paure che circolavano in primavera: pareva che ci dovessimo preparare ad una vera a propria invasione di immigrati, pronti a colonizzare la nostra terra.
Ricordo bene il clima allarmato di marzo ed aprile: ci attendeva un miglioramento delle condizioni di navigazione, a motivo della bella stagione, ed il rischio che i flussi aumentassero era molto alto. Così come ricordo il clima di allarme sociale alimentato da coloro che, professionisti della paura, avevano tutto da guadagnare da un senso di insicurezza diffuso e capillare. Fortunatamente così non è stato.
Significa che siamo fuori dal tunnel? Certo che no! Stiamo assistendo ad un “esodo” storico, ad un fenomeno migratorio con origini ben lontane e profonde. Aspettarsi che tutto si possa risolvere in pochi mesi sarebbe ingenuo ed irrealistico. I flussi ritorneranno a salire in futuro? Può essere, certo… chi può dirlo?
Una cosa però questa parziale e temporanea mitigazione dei fenomeni la dimostra: che con una serie di interventi coordinati e ragionati, qualcosa si può fare almeno per arginare e tentare di governare il problema. Il coinvolgimento delle ONG che sono attive nel Mediterraneo, un maggiore coordinamento con la guardia costiera libica, l’accordo con alcuni sindaci (sarebbe meglio dire capi tribù) della Libia, il tentativo di stabilizzazione dell’area nord africana, qualche frutto lo iniziano a dare.
Certo, resta moltissimo da fare: in primis l’attivazione di una reale corresponsabilità europea, grazie alla quale il peso della gestione del fenomeno non ricada solo sulle spalle di un solo paese. Quindi politiche di sviluppo più lungimiranti che permettano di rimuovere alla radice le cause delle partenze verso l’Europa. Servono poi norme che consentano accessi regolari al mercato europeo (non dimentichiamoci che dal 2015 al 2025 l’Italia calerà di 1,8 Milioni di abitanti e che, per il corretto funzionamento del sistema produttivo e per la tenuta del sistema pensionistico, serviranno, nello stesso periodo 1,6 milioni di immigrati…).
Insomma il percorso è ancora molto lungo e non privo di ostacoli, complicazioni e fallimenti. Ma mi piacerebbe che si cercasse di affrontare questi mutamenti storici con intelligenza e saggezza, moderazione e responsabilità, con solidarietà e profondo senso della legalità. Soffiare sul fuoco della rabbia, della paura e dell’egoismo fa prendere qualche voto, ma annebbia la vista e non sposta di un millimetro il problema.