Alzi la mano chi non ha mai provato quel senso di rabbiosa disperazione che ti assale quando sono ore e ore che giri invano alla ricerca di un dannato parcheggio che non trovi! Senti un senso di ringhiosa impotenza e di colerica frustrazione: “E adesso dove la metto? Possibile che non esista un buco dove poterla lasciare?”. E confessiamolo: chi, in questi istanti, non è mai stato tentato di lasciare la macchina nello spazio riservato ai disabili, solo per questa volta, solo in via eccezionale, solo perché oggi di posto non se ne trova…
Credo sia successo qualcosa di analogo, qualche settimana fa, al centro commerciale Carosello di Carugate, in provincia di Milano. Un tizio gira, gira, gira e alla fine lascia l’autovettura in un posto contrassegnato dalla H. Non che quello che è accaduto sia un fatto così insolito. Racconta Carmela Rozza, l’assessore alla Sicurezza del Comune di Milano “Se calcoliamo che gli spazi per invalidi a Milano sono in totale 4.661, (e che nel primo semestre 2017 le multe per soste vietata 71.819 – ndr.) vuol dire che più della metà di questi (62,8%) almeno una volta in sei mesi è stato occupato da chi non ne aveva diritto, creando problemi a chi ha seri problemi di mobilità”. Quello che è singolare è ciò che è successo di seguito: un altro disabile, accortosi che il posto era stato occupato abusivamente, chiama i vigili urbani che multano il proprietario con una sanzione di 60 euro. Ed ecco che il “parcheggiatore illegale”, insoddisfatto dell’accaduto e, anzi, smanioso di vendicarsi per la multa, decide di appendere un cartello sulla cassetta di un idrante, con queste testuali parole: “A te handicappato che ieri hai chiamato i vigili per non fare due metri in più vorrei dirti questo: a me 60 euro non cambiano nulla, ma tu rimani sempre un povero handicappato. Sono contento che ti sia capitata questa disgrazia“.
Sono rimasto di stucco quando ho letto questa notizia su un quotidiano online: ma davvero siamo arrivati a questo punto? Il nostro senso di controllo e censura si è abbassato a tal punto da permetterci di scrivere parole così infami ed oltraggiose? Certo, il fatto è di per se stesso tanto incredibile quanto isolato, ma credo che tradisca un sentire collettivo che si sta imbarbarendo e diventando sempre più violento ed arrogante. Basta leggere alcuni commenti e post sui social per rendersi conto che questo fatto, benché estremo e, fortunatamente solitario, nasce da un humus intriso di rabbia e aggressività, di violenza verbale ed arroganza che, ahimè, è meno raro di quello che si possa pensare.
Viviamo un contesto spesso imbevuto di collera, di ira e di insoddisfazione, di frustrazione e di violenza. Intendiamoci: non dico che a volte questa reazione scomposta non abbia una propria ragione o giustificazione. Dico solo che quando questo “mood” (come dicono gl’inglesi) diviene l’umore stabile della nostra vita, allora le cose si complicano alquanto. E così dobbiamo trascorrere il tempo con persone perennemente arrabbiate, insoddisfatte del mondo, degli altri e degli eventi; gente che prova un risentimento continuo verso tutto e verso tutti, come se avesse intrapreso una propria guerra personale contro l’universo intero, il quale, colpevolmente, non accetta di piegarsi alle loro nobili intenzioni.
Ma cosa hanno in comune il parcheggiatore arrogante ed i tanti arroganti che incontriamo “virtualmente” e non, nelle nostre vite? Credo un senso distorto dei propri diritti.
Ci sono persone che si mostrano estremamente sensibili a difendere e propugnare il rispetto dei propri diritti ma molto molto meno solerti a rispettare ed onorare i propri doveri. È gente abituata a strillare quando qualcuno (a loro insindacabile giudizio) mina i loro presunti diritti ma si mostrano molto più comprensivi e magnanini quando i loro doveri sono rispettati a giorni alterni.
In tal modo il loro “io” diviene, giorno dopo giorno, qualcosa di ipertrofico e di ingombrante, a tal punto che il loro ombelico diviene il loro orizzonte esistenziale ed il “proprio comodo”, il totem a cui sacrificare le proprie lamentazioni. Quando la medaglia a due facce, fatta di diritti e di doveri, viene rotta a vantaggio solo dei primi, iniziano i veri problemi di convivenza. È come se uno decidesse di indossare occhiali che mostrano solo metà del mondo, solo un pezzo della realtà che ci sta di fronte. Guardare ai propri diritti senza considerare anche i propri doveri, genera delle semplificazioni dannose e pericolose nella propria vita: uno si abitua a guardare a sé, al proprio orticello, a quanto gli spetta o che gli altri gli devono dare, e lentamente inizia a dimenticare il movimento opposto, ossia quello che ha a che fare con quanto gli altri si aspettano da te.
Ogni convivenza civile si basa sul quel delicato equilibrio tra diritti e doveri, tra ciò che mi spetta e ciò che mi compete, mai l’una senza l’altro. Ogni mio diritto è un dovere per qualcun altro (sia esso lo stato, un singolo o la collettività) ma non dimentichiamo che ogni mio dovere è la condizione di possibilità per un diritto altrui. Ogni volta che vengo meno ad un mio dovere, di fatto sto, indirettamente, negando il diritto di altri.
Un po’ come quell’automobilista che ritiene un suo diritto parcheggiare dove gli pare, dimenticando il suo dovere di rispettare il divieto di parcheggio. Questo suo dovere è solo l’altra faccia della medaglia del diritto di un disabile a parcheggiare l’auto vicino all’ingresso.
Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di settembre di LodiVecchioMese