dal buio alla luce

Ieri sera dopo una settimana particolarmente faticosa mi sono concesso un po’ di tempo per vedere qualcosa in tv… giusto per staccare un po’ la testa.. ed è così che mi sono imbattuto inaspettatamente in “Marie Heurtin: dal buio alla luce”, un film trasmesso sulle reti RAI. Devo confessare che si è trattato di uno di quegli incontri straordinari che ti regala la vita quando meno te lo aspetti.

Il racconto narra la storia di Marie Heurtin, una ragazza sorda e cieca nata in Francia nel 1895. Quando compie quattordici anni, un dottore consiglia il padre della ragazza, un modesto artigiano, di rinchiudere Marie in un manicomio poiché la giudica stupida. Il padre porta la ragazza in un istituto religioso a Poitiers, dove nonostante lo scetticismo della Madre Superiora, una giovane suora, Marguerite, aiuterà il “piccolo animale selvaggio” che è Marie a uscire dal buio dell’incomunicabilità.

È meraviglioso assistere a questo lento e complicato processo che aiuta Marie ad uscire da una condizione “animale” per aprirsi alla relazione con Marguerite, attraverso contatti, tocchi, carezze, sfioramenti, prese, lotte, odori e annusamenti, attivando quei sensi che la natura ha concesso a Marie per creare un ponte verso il mondo.
Il racconto procede attraverso una narrazione dolce e delicata, non priva di tensione, dolore e dramma, cercando di restituire allo spettatore quel percorso tattile ed olfattivo che permette a Marie di affrancarsi da una condizione di schiavitù disumana.

Tra i moltissimi stimoli e fascinazioni che il film offre una cosa la trovo di mirabile grandezza: il riconoscimento del valore della parola come atto propriamente e radicalmente umano. La parola è più di un movimento sonoro, più di un insieme di onde generate dalle corde vocali che colpiscono l’apparato uditivo. La parola è più anche di un apparato di segni che indicano ed alludono a significati, a contenuti e messaggi.

Il linguaggio è quell’atto grazie al quale ciascuno di noi squarcia la propria solitudine esistenziale, per aprirsi al dialogo e alla comunicazione; parlare è rompere il muro che impedisce ai miei pensieri, ai miei sentimenti e alle miei emozioni di essere condivisi e partecipati.

La strabiliante storia di Marie racconta che ciascuno di noi diventa pienamente uomo quando, attraverso un linguaggio verbale o gestuale, diviene capace di entrare in relazione con un altro essere umano, a cui può raccontare se stesso, esprimere chi è, rivelare la propria identità. La profonda intuizione di Marguerite sta tutta qui: siamo solo quello che siamo capaci di esprimere. È la parola (nel senso più ampio del termine) la misura della nostra identità. Senza la parola, ossia senza la possibilità di comunicare il mio mondo interiore, la mia umanità resta incompiuta e mutilata.

La singolarissima quanto eccezionale storia di Marie narra qualcosa che appartiene alla nostra umanità. Dice di quell’incredibile miracolo che ogni giorno accade sotto i nostri occhi, grazie al quale ciò penso e provo può essere condiviso con un altro essere umano, suscitando un comunicazione che, attraverso la parola, ci rende pienamente uomini.

 


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