time-out

Talvolta l’abbondanza delle nostre parole nasconde la debolezza e l’insignificanza del loro contenuto. Come dire: usiamo la quantità per supplire alla scarsa qualità.

Lo noto in modo particolare, lo so che parrà strano, durante le partite di basket quando giocano i miei ragazzi. Ogni allenatore ha il proprio stile di comunicazione, si rivolge alla propria squadra con un tono del tutto personale, che tradisce il proprio carattere, i propri valori e gli atteggiamenti che ha interiorizzato. Mi capita così di vedere allenatori che riversano tonnellate di parole verso i propri giocatori, istruzioni, ammonimenti, schemi, raccomandazioni, regole ed attenzioni: alla fine ne risulta un flusso di parole strabordante, noiosamente ridondante e, sostanzialmente inutile. Non perdono occasione ad ogni pausa di gioco per iniziare un soliloquio talmente prolisso da risultare stucchevole.

Resto sempre colpito dallo stile asciutto e scarno di Gianluigi nel rivolgersi ai giocatori in campo: ha sempre parole misurate, mai eccessive, dirette ed efficaci e senza sbavature. Direi parole essenziali, in quanto sanno andare al cuore delle cose senza troppi fronzoli o inutili ripetizioni. In certi frangenti (o forse sempre nella vita…) è inutile disperdersi in un frasario ridondante e prolisso: meglio usare parole chiare e sincere, sapendo bene cosa dire e come dirlo. Forse l’autorevolezza con le persone non la si acquista stordendo di parole l’altro ma avendo la saggezza di dire la parola giusta al momento giusto, tutto lì, basta quello.

Temo che moltiplichiamo le parole (ahimè a me capita spesso) quando non sappiamo bene cosa dire, quando vaghiamo su un terreno nebbioso e confuso e, per approssimazioni successive, tentiamo di arrivare alla meta. Chi la meta la vede chiaramente non ha bisogno di svolte o sentieri tortuosi, di tornanti o giravolte: indica la meta con chiarezza e mitezza, lasciando all’altro la possibilità di ascoltare, elaborare e agire di conseguenza.

A volte c’è una buona dose di prepotenza nel nostro parlare ossessivo: quasi che, a forza di parole, l’altro si convincesse a fare quello che vogliamo noi. Il parlare pacato e sobrio è un gesto di rispetto verso l’altro e di cura del proprio linguaggio: ti dico ciò che ritengo essenziale e lo affido alla tua libertà perché tu ne faccia ciò è utile alla tua gioia.

 


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