Francesco mi ha segnalato uninteressante post tratto da questo blog. Rilancio con piacere.
“C’è una parola composta in Giapponese che racconta l’altruismo,la gentilezza che è sempre benvenuta, o almeno quasi sempre. E nel quasi si gioca la sfumatura che piega e infine ribalta tutto il concetto di altruismo.
È「有難迷惑」/arigatameiwaku/, termine che abbina due sentimenti contrastanti solo in apparenza:la riconoscenza ed il fastidio.
In essa c’è 「ありがとう」 /arigatō/, 「有難い」 /arigatai/,il grazie, l’inchino di cuore, la consapevolezza di quanto le intenzioni altrui siano luminose. Eppure vi si accompagna 迷惑」 /meiwaku/ ovvero il fastidio, l’irritazione, il risvolto dell’eccesso e della mancata consonanza di desiderio tra chi riceve e chi dà.
È la macchina che nel vicoletto, per una forma di cautela eccessiva, invece che passare oltre lentamente, si ferma totalmente, in attesa che a nostra volta sostiamo in un isolotto di spazio costringendoci a fermarci.
È l’offerta d’aiuto per qualcosa che preferiremmo far da noi. La spiegazione approfondita di una cosa che non ci interessava sapere affatto. L’essere accompagnati in macchina quando avremmo voluto andare a piedi. La telefonata di conforto quando il conforto lo rinveniamo più nel silenzio che nella parola.
Ecco allora che「有難迷惑」 /arigatameiwaku/ è una parola che diverte ma che ha anche una sua profondità, perché spiega come non esista una gentilezza in generale, spendibile con chiunque e in qualunque contesto. Ribadisce come ogni cosa trovi la propria misura in quella accanto.
Non esiste insomma un gesto generoso in assoluto, non se chi lo riceve è meno felice di chi lo compie.”