Difficile caprie cosa spinga una persona ad accettare di imbarcarsi in una impresa davvero impegnativa come diventare genitore di una piccola bambina down. Se poi questa persona è pure un uomo single (e quindi senza la possibilità di condividere l’impegno con qualcun altro) la cosa appare ancora più strabiliante.
Eppure così è successo a Napoli: il tribunale dei minori, dopo aver contattato ben sette coppie di aspiranti genitori adottivi, decide di affidare una piccola bimba down (nata in ospedale e non riconosciuta dalla madre biologica) ad un uomo single, per un periodo di prova e verifica.
Il tutto è stato reso possibile grazie alla legge nazionale sulle adozioni che prevede, in casi eccezionali, di affidare un bimbo alle cure di una sola persona per soddisfare le primarie e superiori esigenze del minore. La cosa ovviamente ha fatto il giro dei telegiornali e dei siti internet, più per curiosità e stranezza che per altro.
Eppure, al di là dell’aspetto più folcloristico e di costume la domanda resta: perché una scelta del genere? Perché assumersi un carico così gravoso? Perché “complicarsi” la vita in modo così eccessivo? In realtà la cosa, a bene vedere, è ancora più misteriosamente complicata: quell’uomo non sta solo spendendo tempo per gli altri, dedicando i suoi giorni per una giusta causa; egli sta impegnando la sua identità personale, diventando padre di una bimba che sceglie di riconoscere come figlia. In quel gesto di adozione c’è la compromissione non solo della propria umanità ma anche dell’identità personale e del proprio orizzonte esistenziale.
Confesso che resto sempre affascinato da queste forme un po’ “folli” di amore. L’amore, quando è autentico, quando è vero, ha sempre in sé qualcosa di irrituale e di rivoluzionario, di eccessivo e di insensato. Ogni vero amore porta i segni della follia, della sovrabbondanza, dell’esagerazione, del dono talmente sproporzionato da risultare follemente divino. Forse è quella medesima irrecuperabile follia che, duemila anni fa, ha spinto un ebreo praticante, ed un po’ sui generis, a morire su una croce, in nome di un Amore smisuratamente abbondante.
Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Novembre dell’inserto “Dialogo” de Il Cittadino