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“Non so se avete presente quando un calciatore segna un gol bellissimo e poi corre sotto la curva e poi si getta in ginocchio e poi batte la mano sul petto dalla parte del distintivo e poi fa il segno della vittoria e poi lancia baci verso gli spettatori e poi alza la maglietta e sotto ce n’è un’altra con il nome della fidanzata… Avete presente?

Ecco, così (a parte la maglietta con la fidanzata) era il sottoscritto ieri sera, dopo aver appreso che i «mi piace» nella pagina Facebook avevano toccato quota cinquemila. Una sobria manifestazione di felicità, diciamo. Tanto che le mie figlie hanno pensato che avesse segnato l’Inter, ma poi si sono ricordate che l’Inter non poteva esserci, perché c’è la pausa Nazionale, e la Nazionale il giorno prima le aveva buscate dagli svedesoni e c’era ben poco da festeggiare, e dunque mi hanno chiesto: che cos’hai papà? E quando io ho risposto ripetendo ossessivamente «cinquemila, cinquemila» e facendo il segno della vittoria, si sono guardate e hanno commentato: «Povero papà, sta proprio invecchiando».

Ma torniamo alla metafora del calciatore. Non so se avete presente quando il suddetto esulta e salta e bacia e abbraccia e ride, ma poi l’arbitro indica che la palla va rimessa in gioco dal portiere, il che vuol dire che il gol è stato annullato, e allora il suddetto diventa improvvisamente una statua di sale, una maschera di delusione, e per poco non sviene per il colpo e poi torna verso il centrocampo con gli occhi bassi meditando sulla profonda ingiustizia della vita? Avete presente?

Ecco, così era il sottoscritto questa mattina quando, dopo una notte cullata dalla cifra cinquemila che galleggiava sopra di me e mi accarezzava, sono andato nella pagina Facebook, ho controllato i «mi piace» e ho visto la cifra: 4994! No, dico: 4994! Ho guardato, riguardato, ho tolto gli occhiali, li ho rimessi: 4994. Una cifra, un insulto. Come dire: volere ma non potere. Che beffa, che crudele scherzo del destino, che scorno, che sgarbo, che mondo cinico e baro!

Ebbene sì, lo ammetto. Da vero parvenu dei social, da autentico arrampicatore negli infidi territori dei «like», mi ero lasciato ingolosire. E pensare che io nei social non ci volevo entrare. E poi… e poi…

Uno dei tanti casi di dipendenza da «like», direte voi. Una sindrome ben nota, con tanto di rilascio di dopamina. Sì, ma voglio andare più in profondità. Vogliamo chiamare le cose con il loro nome? Superbia. Ecco come si chiama. Superbia bella e buona (in realtà né bella né buona). Superbia! Eccolo lì il grande peccato, il peggiore di tutti, il più devastante. Superbia che ti prende dal tuo lato più debole, ti afferra e non ti molla più.

La questione è seria. Ricordate C.S. Lewis? «Non di rado accade di vincere la propria pusillanimità, lussuria o iracondia dicendo a sé stessi che queste sono cose indegne di noi – ossia, per superbia. Il diavolo se la ride. È contentissimo che tu diventi casto, coraggioso e capace di dominarti, purché egli possa istituire dentro di te la dittatura della superbia; così come sarebbe felicissimo che tu guarissi dai geloni, se in cambio gli fosse consentito di farti venire il cancro. La superbia, infatti, è un cancro spirituale: divora ogni possibilità di amore, di contentezza, di semplice buonsenso» (da «Il cristianesimo così com’è»). (…)

Insomma, per farla breve, grazie, grazie di cuore a chi ha tolto quei cinque o sei «like». Che lezione! Che ammonimento! Che rimprovero salutare!  Ora lo so: i social possono condurti alla perdizione, ma anche farti rinsavire.

Bene, non mi resta che espiare, e so già qual è la strada. Quei simpaticoni di luoghicomunialcontrario.com hanno ragione: «La solitudine è un antidoto contro Facebook».

Comunque nel togliere i «like», per favore, andate piano. Non vorrei rinsavire troppo in fretta.”

Aldo Maria Valli


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