Will è il classico ragazzo che ha tutte le fortune della vita: ricco, bello, dinamico e sportivo. La vita gli si spalanca davanti come una promessa. Succede che un brutto incidente lo paralizza sulla sedia a rotelle e lo condanna ad una vita da carcerato nel suo stesso corpo. È così che Will incontra Lou, ventiseienne squattrinata e insicura, che non sa bene cosa fare della sua vita, passando da un lavoro all’altro per aiutare la sua famiglia. Luo, appena licenziata da un precedente impiego, accetta di assistere Will con il quale, giorno dopo giorno e non senza fatiche ed incomprensioni, nasce prima una bella amicizia e poi una intensa passione. Tuttavia Will non accetta la sua condizione di disabilità e decide, nonostante la ricca relazione con Luo, di andare in Svizzera per sottoporsi al suicidio assistito. Luo tenta in tutti i modi di mostrare al giovane come la vita possa essere ancora degna di essere vissuta ma i suoi sforzi non avranno l’esito sperato.
È davvero intrigante questo film (“Io prima di te”, titolo originale “Me Before You”, USA – 2016) capace di intrecciare una romantica storia di amore ed la narrazione della dolorosa condizione di disabilità e di solitudine che colpisce il protagonista.
C’è una domanda che accompagna, forse un po’ sotto traccia, questo racconto: che cos’è l’amore? È qualcosa che ci si appiccica addosso come un adesivo, qualcosa che indossiamo come un vestito o è un punto di vista da cui osserviamo il mondo e grazie al quale la realtà assume una nuova fisionomia ed un nuovo volto? L’amore cambia chi siamo, modifica la percezione che abbiamo di noi stessi, incide sulla nostra consapevolezza o ci si aggiunge come un tocco di colore che tutto sommato lascia il quadro inalterato? Detto in altro modo: quel è il peso dei nostri legami? Quanto essi ci identificano e partecipano alla costruzione della nostra identità?
“Io prima di te” è un titolo intrigante e giustamente ambivalente. Quel “prima” è nell’ordine del tempo (“ciò che io ero prima di incontrarti”), o è nell’ordine del valore (“io vengo prima di te, ossia io sono al primo posto nelle scelte”)? O è nell’ordine dell’essere (“la mia vita è precedente la tua…”)?
In fondo il problema è davvero tutto qui. Siamo sicuri che “io vengo prima di te”? Ossia che nella definizione della mia persona posso pronunciare “io” a prescindere dal “tu”? Siamo certi che ho la possibilità di proferire la parola “io” indipendentemente dalla presenza dall’altro, della sua radicale estraneità e differenza? Non è questa forse la grande illusione dei tempi moderni, quella cioè di credere che l’uomo trovi in sé il fondamento del tutto? Non è questa la ferita narcisistica della modernità, quell’arrogante pretesa dell’uomo di “insignorirsi del suo fondamento”, come direbbe Heidegger, o di patire un “monoteismo del Sé”, secondo al suggestiva espressione di Sequeri?