Ricordo ancora il parcheggio delle biciclette che c’era alla stazione di Tavazzano. Era presente i primi anni che avevo iniziato a prendere il treno per andare in università. Lodi Vecchio dista poco più di un kilometro dalla stazione ferroviaria di Tavazzano, sicché la stazione è ampiamente utilizzata dagli abitanti del vicino paese per muoversi su Milano per studio o lavoro. Fino a qualche decennio fa, il modo più in uso per raggiungere la stazione era la bicicletta: la macchina non era ancora così comune e le due ruote erano certamente più economiche del servizio di bus che, in modo piuttosto irregolare ed inaffidabile, serviva i due paesi.
Ecco quindi che la presenza numerosa di biciclette lasciate dai viaggiatori, aveva spinto il proprietario di un piccolo box vicino alla stazione ad aprire un piccolo “rifugio” per bici: una cosa giù alla buona, niente di ufficiale o formale. Si arrivava, si salutava il proprietario, si lasciava la bici e la si riprendeva al ritorno da Milano. Non c’era alcuna procedura di registrazione o cose simili… un semplice accordo tra gentiluomini come si usava in passato. Oltretutto la stazione era piuttosto isolata e periferica e quindi il piccolo riparo per le bici garantiva i viaggiatori anche contro furti e danneggiamenti.
Ricordavo questo fatto, che tanto lontano nel tempo non è, osservando le numerose biciclette che, dopo molti anni, sono ricomparse a Tavazzano, legate in vario modo a vari appigli. Non sono più degli abitanti dei paesi vicini, che ormai in stazione ci vengono in macchina, ma dei ragazzi extracomunitari ospiti a Lodivecchio nel vicino residence. Vivono lì in attesa del disbrigo delle pratiche in vista del riconoscimento della protezione internazionale (quello che volgarmente chiamiamo profughi). Per andare a Lodi (per i percorsi di alfabetizzazione ed integrazione) o Milano (per le più svariate ragioni) giungono in stazione con la loro due ruote, unico mezzo di trasporto a loro disposizione.
Vedi come la storia a volte ha i suoi corsi e ricorsi… quello che sembrava passato ed affidato a tempi andati si ripresenta sotto panni nuovi; quello che pareva ormai rilegato nella storia che fu, torna con nuovi protagonisti ed interpreti.
Sarebbe bello se non ci scordassimo tutti da dove veniamo e da dove siamo passati: rammentare che i nostri padri e nonni sono stati un po’ come questi giovani ragazzi di colore, costretti a muoversi i bici per andare in stazione. Forse i nostri sguardi verso di loro, alla mattina mentre corriamo a prendere il treno o alla sera quando rientriamo un po’ stanchi ed esausti dalla giornata, sarebbero un po’ più indulgenti e comprensivi se rammentassimo che questi “italiani di importazione” stanno semplicemente ripercorrendo quelle medesime strade che noi battemmo decenni fa; e che in fondo l’andar per il mondo in cerca di fortuna non è prerogativa della gente africana: basta rammentare le tante valigie scaricate da scafi provenienti dal vecchio mondo sul molo di Ellis Island a New York.