pesi e misure

Non sopporto l’idea che la vita umana abbia pesi e misure diverse in base all’appartenenza etnica, alla fede religiosa o alla provenienza geografica. Né tanto meno trovo sopportabile il pensiero che se i morti sono nemici dei nostri amici allora il loro dramma è meno “drammatico”, come se passasse come un evento tra i tanti, un’amenità tra le numerose della vita.

Ieri in uno scontro drammatico ai confini dei territori palestinesi è avvenuta une vera e propria mattanza, nella quale hanno perso la vita più di sessanta persone con più di 2.700 feriti. Non mi interessa il colore della loro pelle né la nazionalità riportata sul loro passaporto: l’esercito di uno stato democratico ha sparato su gente che tirava sassi e che protestava per una assurdità diplomatica come lo spostamento di una capitale da una città all’altra senza un necessario negoziato.

Non voglio entrare nel merito della questione, non è questo né il tempo né il punto. Dico solo che se, in maniera simmetrica, ed altrettanto agghiacciante, un cittadino dello stato di Israele fosse stato oggetto di un attentato terroristico avremmo visto tutte i principali canali televisivi sospendere le trasmissioni, avremmo assistito ad un moto di indignazione planetaria, con interventi diplomatici ai più alti livelli un po’ da tutte le parti. E sarebbe stato giusto che tutto ciò succedesse perché questa è una guerra che sta facendo troppi morti da tutte le parti.

Mi sconvolge che di fronte ad una brutalità così immane abbiamo assistito ad una timida denuncia da parte della comunità internazionale, quasi fosse un atto dovuto a cui con poca convinzione occorre obbedire. Come a lasciare intendere che l’uccisione innocente di un israeliano sia qualcosa che merita il nostro sdegno mentre la morte di decine di palestinesi sia un fatto che appartiene alla triste normalità delle cose, come qualcosa a cui abbiamo fatto il callo, un po’ come l’afa d’estate e le nevicate d’inverno. È davvero drammatica questa disparità dei sentimenti, questo indegno elitarismo della sofferenza, in base alla quale il dolore ha prezzi e pesi diversi a secondo dalla carne che lo patisce.

Non mi arrendo all’idea che i nostri sentimenti siano sequestrati da questi pregiudizi emotivi che ci spingono a provare delle ingiustizie sentimentali talmente palesi. Occorre recuperare una sana ortopatia, ossia una corretta capacità di sentire. È tempo di rieducare, oltre alla testa, anche il nostro cuore: occorre saper vigilare su quello che prova, su quanto lo agita e lo com-muove affinché riesca a muovere le nostre azioni verso una mite giustizia.

 


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