Certe giornate scorrono lente, trascinate dallo scorrere del tempo, con inerzia e disimpegno. Non hanno uno scopo, non hanno un ardore che le muove, uno stimolo che le anima, non c’è slancio ed entusiasmo, ma solo un dolente succedersi di minuti ed ore, come una mesta processione del tempo.
Sono giornate in cui ci si lascia vivere, si accondiscende al procedere dei minuti, come ad una doverosa necessità, come un destino a cui non è possibile sottrarsi. Certe giornate sono così, chiuse in sé stesse, raggomitolate, come sterili conchiglie che non si aprono, che non lasciano dischiudere il loro prezioso contenuto.
Ad osservarle bene paiono giornate senza senso, tristi, mutilate del futuro, sfiorite prima ancora di sbocciare, frutti rinsecchiti dell’esistenza, nati acerbi e presto marciti. Certe giornate paiono come delle incomprensibili anomalie della tua vita: non si legano con quanto le precede e sembrano incapaci di generare un dopo. Sono sospensioni apatiche della vita, tempo in cui i tuoi desideri sono messi in pausa, nell’attesa di qualcosa che non sai bene cosa sia.
Ti chiedi il senso del loro esserci, del loro accadere nella tua vita; ti domandi il significato di questa loro insignificanza, come un ninnolo di bigiotteria da quattro soldi custodito tra preziosi gioielli. Per quanto ti possa sforzare un senso non lo trovi, un motivo nemmeno, tantomeno una giustificazione.
Certe giornate sono così, giornate da lasciarsi vivere, giornate da assecondare, giornate da accettare come un seme dell’esistenza che, forse, mai sboccerà, ma che resterà nella tua vita come un incompreso mistero.