«Parliamo quasi sempre di festa della pace, di marce della pace, di veglie della pace, di tavole rotonde sulla pace. Forse è arrivato il momento di capire che, oltre che di festa, dovremmo poter parlare di ferialità della pace. Invece che coniugarla sempre con le marce, dovremmo appaiarla un po’ con i percorsi quotidiani che, in linea ordinaria, sono scanditi su ritmi scarsamente eroici.
Al di là delle veglie, cariche di vibrazioni emotive e risonanti utopie, dovremmo prendere atto che la pace si costruisce anche nei sonnolenti meandri della storia e cresce anche nelle pieghe sotterranee dell’esistenza. E non è blasfemo affermare che, al di là dei velluti delle tavole rotonde, la pace si costruisce sul ruvido tavolo del falegname come sul desco del contadino. Sulla cattedra dell’insegnante come sulla scrivania dell’impiegato. Sullo scanno dello scolaro come sulla mensola della casalinga. Sull‘impalcatura del metalmeccanico come su ogni banco impoetico dove si consumano le più oscure fatiche giornaliere.
E non è neanche fuori posto concludere che il vento della pace, più che i vertici occupati dai potenti, scuote le fertili bassure, abitate dagli anonimi valligiani.» (Tonino Bello)