le doglie del parto

Non so se ci avete fatto caso ma la liturgia di oggi era segnata da una ricca presenza di donne incinta, donne gravide, in attesa di poter partorire il proprio figlio.  Ne parla il libro dell’Apocalisse con quella visione suggestiva e grandiosa in cui la donna vestita di sole lotta contro un enorme drago rosso che cerca di divorarle il figlio; ne parla il racconto di Luca, in cui le donne incinta sono addirittura due: Elisabetta e la cugina Maria, una anziana e in là negli anni, l’altra giovane adolescente palestinese, entrambe ritrovatesi madri per una benedizione celeste.

Questo dettaglio della gravidanza ritorna continuamente, come una sorta di filo rosso che accompagna l’intera celebrazione. La cosa strana ed assai singolare è che la festa liturgica odierna vorrebbe in qualche modo raccontare di ciò che è il destino di ogni uomo. Nella donna assunta in Cielo, la chiesa primitiva e moderna ha sempre visto come la promessa e l’anticipazione del destino di ogni figlio di Adamo, quella della partecipazione piena alla vita di Dio. È quindi strano questo connubio: destino e gravidanza, compimento del tempo e generazione di una nuova vita. Pare quasi che la liturgia abbini questi due termini, li tenga volutamente insieme, pur nella loro apparente lontananza ed irrilevanza.

O forse no? O forse che questo accostamento superficialmente così irrituale non dica qualcosa di più denso e profondo e che dietro questa “lontananza” si celi una familiarità più intima e sostanziale? Mi viene il sospetto che forse i testi biblici di oggi ci vogliano lasciar intendere che la nostra vita, come quella di ogni uomo, è in fondo un lento e incessante processo di gestazione, un venire alla luce giorno dopo giorno. E che in fondo il destino finale di ogni essere che vive su questa terra è uno straordinario evento di nascita, una nuova generazione, un affascinante germogliare di vita nuova. Se così fosse, il dolore che la vita porta con sé, la sofferenza, la fatica, la disperazione ed il pianto non sono segni di morte, di caducità e annichilamento, ma dolori che accompagnano il parto, grida e lamenti che testimoniano che questa nuova nascita sta lentamente ma inesorabilmente accadendo.

Mi viene un dubbio: non è che alla fine la linea sottile che separa la Speranza dalla Disperazione non stia tutta qui? In quel labile ma significativo confine che distingue il grido della nascita da quello della morte, la sofferenza per ciò che finisce dall’angoscia per ciò che comincia?


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