Oggi cedo volentieri la parola e lo spazio al mio caro amico Fabrizio per un bel racconto di vita. Buona lettura!
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Tutto ebbe inizio una normale domenica di giugno quando il parroco, Don Elia, annunciò l’apertura delle iscrizioni per il pellegrinaggio a Caravaggio!
In men che non si dica e, soprattutto, senza accorgermene, il mio nome campeggiava lassù tra i primi della lista dei pellegrini. Era successo ancora! La mia dolce metà aveva pensato bene di iscriverci entrambi e, come spesso accade nelle dinamiche moglie-marito, senza nemmeno chiedermi uno straccio di parere.
Nacque così nella più totale incoscienza, e non senza un pizzico di terrore, un’avventura per me memorabile e straordinaria, carica di emozioni sempre più intense.
Per chi come me non ha mai affrontato un pellegrinaggio, non ha mai fatto allenamenti da ironman e, soprattutto, a livello podistico si è cimentato solo nella StraOratorio, il primo dubbio, il più istintivo e il più naturale è stato: “quanta strada bisognerà percorrere? e, soprattutto, ce la farò?”.
Quasi come fosse un segreto destinato ai soli eletti (gli organizzatori), la risposta alla prima domanda non arriverà mai. Si è parlato di una distanza mitologica tra i 20 e i 24 chilometri ma nessuno ha mai confermato. Il depistaggio è stato inquietante e l’agghiacciante segreto ha resistito e si è alimentato fino alla fine del percorso, quando ormai ogni millimetro in più pesava sulle gambe come se si fosse trattato di percorrere a piedi l’equatore!
Alla seconda domanda? Beh, mettiamola così, molti dei presenti mi davano per spacciato già a un terzo del cammino, quando il mio passo iniziava a essere trascinato e incerto ma…anch’io sono arrivato alla meta: stanco, provato, direi letteralmente devastato ma anche felice, soddisfatto e consapevole, al punto che il mio primo commento a caldo è stato “Un’esperienza meravigliosa che merita di essere ripetuta!”.
Oggi, a distanza di giorni, fugato il dubbio di deliri e allucinazioni post-fatica, confermo ampiamente il mio giudizio.
Sono entusiasta!
Il pellegrinaggio è un’opportunità che, se affrontata senza pregiudizio, permette a chiunque di misurarsi con se stesso fisicamente, emotivamente e spiritualmente e la ragione di ciò è tanto semplice quanto straordinaria.
In una società dove spesso conduciamo una vita frenetica, inseriti negli ingranaggi di una spietata macchina abitudinaria, dove anche il cosiddetto tempo libero è fagocitato da mille attività, il pellegrinaggio ti concede, anzi ti restituisce, una cosa sempre più rara: il tempo! Se hai tempo riscopri quegli aspetti intimi della tua esistenza cui quotidianamente non dai la giusta priorità: il rapporto con te stesso, con gli altri e con Dio. Il pellegrinaggio ti offre quel congelamento spazio-temporale in cui è lecito e ormai necessario prendersi una vacanza dal ridondante, dal caotico, dal frenetico e… in un attimo ti tuffi nell’essenziale!
In primis ti confronti con le tue ansie e le tue paure.
Ti si prospetta davanti un’esperienza che richiede dal punto di vista fisico e psicologico uno sforzo straordinario, cui non sei solito cimentarti nella vita quotidiana. Ti guardi allo specchio, senza filtri, con la nudità dell’anima e vuoi comprendere realmente se puoi farcela. Prendi le misure coi tuoi limiti, senza maschere o artefatti, decidendo consapevolmente se hai voglia di metterti in gioco come realmente sei. Questo odora tanto di umanità!
Alla fine hai deciso di esserci, di provarci con tutti i tuoi dubbi e le tue verità; prendi il tuo zainetto e, insieme agli altri incerti e dubbiosi, sei lì sul sagrato della chiesa la notte della partenza. Volti noti, altri perfetti sconosciuti, tutti che in un modo o nell’altro hanno scelto di accettare l’invito di Don Elia. C’è anche lui, ovviamente, che ci accoglie benevolo in chiesa dandoci la benedizione e offrendoci in dono una coroncina del rosario col monito di usarla!
Poco dopo la mezzanotte…si parte!
Il passo è deciso. Nell’aria c’è un pizzico di euforia, tanta incoscienza e la voglia di compiere insieme una grande impresa. Il gruppo resta compatto per il primo tratto ma, inevitabilmente e progressivamente, ognuno assume il proprio passo dando inizio alla fisarmonica dei distacchi e dei riavvicinamenti: acceleri e raggiungi un compagno, rallenti e sei a tua volta raggiunto. E’ così che la tua marcia, per qualche tratto, è affiancata da altri pellegrini che in quel momento stanno tenendo il tuo stesso ritmo e, in quelle occasioni, recuperi la gioia del comunicare, del condividere i tuoi pensieri e le tue emozioni con gli altri, a partire da quanto si sta concretizzando sotto i nostri occhi, anzi sotto i nostri piedi.
E ci si riscopre simili! Le tue ansie e le tue paure sono le stesse del tuo compagno e questo di per sé basta a infondere coraggio e dare loro meno rilevanza, cedendo il passo alla voglia di conoscersi, scherzare e stare insieme. Si sta compiendo un cammino comune; non necessariamente mano nella mano, ognuno ha il suo ritmo, ognuno il suo passo, chi in solitaria, chi in coppia o in gruppi più numerosi, in silenzio o chiacchierando ma tutti, come gli affluenti di un grande fiume, siamo diretti alla stessa foce, la nostra meta, il nostro obiettivo condiviso.
Ed è proprio lungo il corso di questo fiume che cresce sempre più forte un’altra consapevolezza, quella che accanto a te ci sia sempre e incondizionatamente un Compagno di viaggio privilegiato che aspetta solo che tu scelga di riconoscerLo. Un noto verso recitava “Dolce è capire che non son più solo ma che son parte di un’immensa vita” e descrive esattamente la sensazione appagante che provi se te ne dai la possibilità.
Il pellegrinaggio si rivela dunque una grande esperienza di preghiera.
In forma privata quando le forze iniziavano a venire meno e quando qualche dubbio sulla possibilità di continuare stava già prendendo il sopravvento, mi sono trovato per coincidenza staccato dal gruppo e altrettanto per coincidenza (o forse no!) la mia mano ha sfiorato nella tasca la coroncina che mi ha dato il Don. In un attimo, non ero più solo e la preghiera è stata il mio compagno di cammino.
Ancora più potente e straordinaria la preghiera collettiva! Prossimi all’alba tutti, di comune accordo, abbiamo deciso di recitare il rosario: parole e intenzioni vecchie di secoli sulla bocca di pellegrini moderni, esattamente come su quelle di pellegrini di mille anni fa. Segnale di continuità e di certezza che conferma come siamo tutti coinvolti in un disegno più ampio, il cui Artista guida le nostre mosse e il nostro pensiero e che ci ha riunito per farci vivere un’esperienza comune. Il tutto in una location indubbiamente privilegiata! Provate a immaginare le stelle che ammiccano dall’alto, sentieri bui illuminati solo dalle nostre torce, ovunque il silenzio, rotto solo dal rumore delle nostre scarpe che lasciano nella polvere un temporaneo e stanco segno del nostro incedere…in questo quadro di perfezione non puoi non sentirti parte di un tutto che porta indelebile la firma dell’Altissimo.
Anche l’alba, che giunge tingendo di colori nuovi lo spettacolo che prima percepivi solo con i suoni o i rumori, sembra accadere nel momento giusto. Siamo partiti col buio della notte diretti a una meta che abbiamo raggiunto proprio quando la notte cede il testimone al giorno. Alla stessa stregua il nostro approccio a quello che stavamo compiendo è mutato da una dimensione spensierata, talvolta goliardica e individualista dell’inizio a una più alta, spirituale e consapevole all’arrivo. Consapevolezza di aver compiuto qualcosa di bello ed importante, che ha tanto più valore quanto più lo si è fatto insieme: la condivisione delle fatiche e delle gioie, del cibo e dell’acqua, la condivisione del tempo, l’aiutare i compagni in difficoltà hanno amplificato il valore già altissimo che un’esperienza come questa avrebbe se la si considerasse solo sulla sfera personale.
Alla fine, dopo 28 chilometri e mezzo e 6 ore e trenta minuti, abbiamo raggiunto l’agognata meta ma, forse…
…il traguardo era già stato ampiamente raggiunto durante il cammino!
Fabrizio Messina