Nel tempo dell’efficienza e della produttività, del fare e della prestazione, c’è un gesto che ha un sapore rivoluzionario, dissacrante, quasi eretico: l’atto dell’ascolto.
Sì, proprio quell’ ”attività” (se così si può dire) che richiede di fermarsi, di abbandonare ogni preoccupazione e ogni impegno e lasciare che accadano le parole e che esse prendano vita dai corpi e delle labbra.
Di fronte ad un mondo che chiede azioni, che esige un fare frenetico e compulsivo, il gesto dell’ascolto si muove su binari radicalmente diversi ed alternativi: ascoltare è l’atto del non fare nulla, atto di inattività e passività; è lasciare che le cose accadano, che avvengano senza obblighi e necessità.
La cosa straordinaria è che la “materia” di questa inattività, ciò di cui essa si nutre, sono delle semplici parole, suoni emessi dall’interlocutore come graduale manifestazione della sua interiorità.
Se ci pensate bene, l’ascolto è fatto di nulla, del soffio di un sussurro, della fugacità di un pronunciamento, dell’impalpabilità delle parole. È qualcosa che svanisce immediatamente, che resta in vita per brevi attimi, che non lascia segni visibili né testimonianze durature. Nulla di tutto questo. L’ascolto è fatto di parole che svaniscono, che scompaiono, che sfuggono.
Eppure non puoi neanche sospettare quali miracoli possono accadere in quel “niente fatto di parole”, quali rivelazioni, quanta vita, quanta dura esperienza, quanta sofferenza e gioia, quanta consolazione e disperazione, quanti sogni e delusioni possono vedere la luce attraverso quelle deboli onde sonore.
È stupefacente quante cose possano accedere non appena lasci loro la possibilità di farlo, non appena sospendi l’ansia del fare e permetti alle parole di venire alla luce, e con loro la vita di cui sono manifestazione e le esperienze di cui sono intrise.
Intendiamoci: l’ascolto richiede disciplina ed applicazione: dietro quell’apparente “inattività” si cela una predisposizione interiore a “fare spazio” dentro di sé all’altro, l’impegno a silenziare i propri preconcetti e pregiudizi così che l’incontro possa avvenire. Senza queste “condizioni di partenza” il miracolo non ha luogo. Ascoltare assomiglia un po’ all’arte del nuotare: quando guardi un esperto nuotatore pare che tutto sia naturale e fluido, ovvio e facile ma sai benissimo che dietro quel movimento armonico e pulito ci sono impegno ed allenamento, ci sono tecnica e ripetizione, ci sono ore di pratica che hanno reso quel gesto complesso, facile e naturale.
Eppure ti rendi conto che non c’è alcuna connessione automatica: non sono le “condizioni” a produrre l’ ”evento”, nessuna necessità o automatismo. C’è sempre un abisso, c’è qualcosa che sfugge che va oltre, che eccede il tuo controllo e le tue aspettative.
È proprio in questo accadimento inatteso che l’ascolto disvela il suo carattere miracoloso e sorprendente.