Poteva avere su per giù l’età di mio figlio quattordicenne, il giovane ragazzo del Mali finito sul freddo tavolo della dottoressa Cristina Cattaneo. L’anatomopatologa ha il tristissimo compito di fare la ricognizione sui corpi, recuperati nel mediterraneo, appartenenti a chi non ce l’ha fatta a raggiungere la sponda opposta e ha terminato il suo viaggio e la sua vita nel Mare Nostrum. È un ultimo tentativo di rendere un po’ di dignità a questi corpi “scartati” dal mondo, un azione pietosa per dare un minimo di consolazione ai famigliari dei defunti, perché abbiamo almeno la certezza sul destino dei loro cari.
Una cosa ha stupito la dottoressa Cattaneo, che è ormai assuefatta a questo triste compito, mentre analizzata il corpo del giovane. Lo racconta lei stesso nel suo libro (Cristina Cattaneo, ‘Naufraghi senza volto’, Cortina editore): si tratta del singolare oggetto che, durante l’autopsia, i medici hanno trovato cucito nella giacca del ragazzo. Dopo una verifica più accurata è emerso essere la pagella scolastica dello sventurato: “Bulletin scolaire”, era scritto sul documento, ormai intriso d’acqua e poi “mathematique”, “francais”…, con i relativi i voti.
Il giovane profugo ha evidentemente pensato di portare con sé, come un prezioso bene, questo pezzo di carta, attestante il suo impegno nel percorso scolastico, forse la testimonianza della sua determinazione e della sua voglia di vita. Era forse custodito come un piccolo “lasciapassare”, una attestazione che lui era uno che ce la metteva tutta, che aveva tutte le “carte in regola” per vivere nel ricco occidente, così poco disposto ad accogliere il suo arrivo.
Poteva avere l’età di mio figlio questo giovane africano, che considerava la sua istruzione come un “permesso di ingresso” nella civile Europa, un titolo di merito che lo avrebbe annoverato tra i volenterosi ed i meritevoli della “meglio gioventù”. E invece i suoi sogni sono terminati nel fondo di un mare, annegati insieme al suo corpo e strappato alla dimenticanza solo grazie alla compassionevole operazione di recupero di qualche anima buona.
Fa impressione pensare a questa giovane vita stroncata nel suo fiorire, con il suo bagaglio di sogni e speranza, cucite addosso come un singolare tatuaggio. Fa male pensare che lì poteva esserci mio figlio, suo coetaneo e che condivide con il ragazzo maliano il colore delle pelle. A ben vedere poteva esserci il figlio di una qualunque famiglia italiana su quel tavolo, se solo non avessimo tutti avuto la fortuna di nascere dalla parte giusta del mediterraneo.
Questi drammi mi fanno pensare a quale “merito” abbiamo avuto noi, quale privilegio ha segnato la nostra nascita, avvenuta in tempi e spazi favorevoli. E, d’altra parte, che arcano motivo lo avrà mai fatto nascere in quel luogo senza speranza e senza destino, luogo che suona, già da solo, come una impietosa condanna a morte. In fondo non ci sono risposte accettabili a questi dubbi, né argomentazioni credibili. Resta solo il senso di una comune umanità, di un futuro possibile che ci lega, di un essere carne e sangue, di un cuore che batte allo stesso ritmo a tutte le latitudini del pianeta.