Il 25 marzo non è per me un giorno normale, uno come tanti nel novero degli anni. In questa giornata infatti il calendario mi invita a celebrare due nascite: la prima è quella di mio figlio Daniel, che quattordici anni or sono veniva al mondo in quel martoriato e straordinario Paese che è l’Etiopia. La seconda è la “nascita al Cielo” del mio amico Marco, che tre anni fa, dopo una improvvisa e veloce malattia, ha terminato il suo pellegrinaggio su questa terra per aprirsi al Definitivo di Dio.
Il 25 marzo per me è un giorno non solo speciale ma anche faticoso: in questa giornata sono come costretto a celebrare la vita e la morte, la gioia ed il dolore, la partenza e l’arrivo, l’incontro ed il commiato, la novità e la conclusione.
È doloroso attraversare questo giorno, solcare le sue ore ed abitare i suoi istanti perché ti senti come diviso, conteso, strattonato a destra e a sinistra. Non puoi fare una scelta né prendere una posizione chiara e netta: sei obbligato a convivere con questa tensione, in questa intima lacerazione che scuote il cuore. Le ore passano con questo impasto di sentimenti, in cui una grande gioia si mescola insieme ad un mesto ed intimo dolore.
Il 25 marzo è per me una prova, una prova della vita, una sfida dell’esistenza.
Il 25 marzo è il giorno in cui il Mistero della Vita mi educa ad attraversare la pienezza dell’esistenza, a goderne ogni goccia, un sorso alla volta.
In questa soleggiata giornata di inizio primavera, la Vita mi insegna ad abbracciare il mistero delle cose, a sperimentare il passo brioso della gioia e quello più misurato della sofferenza. Non sono due passi così diversi, come si potrebbe pensare: sono solo due movimenti di quell’unica Danza della Vita, che, con somma libertà, solca il terreno del tempo.